Accesso al concordato minore per l’imprenditore individuale cancellato: incertezze interpretative e prospettive. Commento a Corte di Appello di Campobasso, sentenza n. 306 del 6 ottobre 2025
1. Premessa
Con la sentenza n. 306 del 6 ottobre 2025, la Corte di Appello di Campobasso ha affrontato una questione di rilevante interesse nel panorama del diritto concorsuale: l’ammissibilità della domanda di concordato minore proposta da un imprenditore individuale cessato e cancellato dal registro delle imprese.
La pronuncia si inserisce in un contesto normativo caratterizzato da incertezze interpretative, in particolare riguardo all’applicabilità dell’articolo 33, ultimo comma, del Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII), che sancisce l’inammissibilità della domanda di concordato minore per l’imprenditore cancellato dal registro delle imprese.
2. Il caso
Con sentenza n. 11 del 19 luglio 2024, il Tribunale di Campobasso ha omologato un concordato minore di tipo liquidatorio con apporto di finanza esterna presentato, tra l’altro, da un imprenditore cancellato dal registro delle imprese. Avverso tale sentenza il creditore ipotecario ha proposto reclamo ex articolo 51 CCII innanzi alla Corte di Appello di Campobasso deducendo: (i) l’inammissibilità ad accedere alla procedura di concordato minore per difetto dei requisiti soggettivi ex articoli 2, 65, 66 e 67 CCII in capo all’imprenditore cessato e (ii) l’erroneità della valutazione di convenienza del piano di concordato rispetto allo scenario liquidatorio.
La Corte di Appello – ritenendo che “alla regola generale della preclusione all’accesso al concordato minore per l’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese faccia eccezione il caso del concordato minore di cui all’art. 74, comma 2, CCII”, ossia del concordato minore di tipo liquidatorio con apporto di finanza esterna, e sostenendo la convenienza di tale procedura rispetto all’alternativa liquidatoria – ha rigettato il reclamo ex articolo 51 CCII.
In particolare, per quanto di interesse, nella parte motivata del provvedimento, si legge che “negare all’imprenditore persona fisica cancellato dal registro delle imprese la possibilità di accedere al concordato minore liquidatorio comporterebbe un vulnus non compatibile con il sistema e non emendabile con il riconoscimento quale unico strumento a sua disposizione della liquidazione controllata, la quale consente di risolvere il sovraindebitamento soltanto attraverso la liquidazione integrale del patrimonio (…). Va considerato, infine, che l’interpretazione qui accolta è quella più conforme al principio costituzionale di uguaglianza, evitando ingiustificate disparità di trattamento dell’imprenditore individuale cessato (che, in caso contrario, non potrebbe accedere ad alcuno strumento negoziale di risoluzione della crisi da sovraindebitamento), rispetto ad altre figure, quali il professionista cancellato dall’albo, l’ex piccolo imprenditore irregolare non iscritto nel registro delle imprese e il piccolo imprenditore cessato, ma non ancora cancellato dal registro delle imprese”.
3. Sulla disciplina dell’articolo 33, ultimo comma, CCII
La fattispecie sottoposta all’esame della Corte d’Appello di Campobasso impone, seppure in via preliminare, alcune considerazioni sul quadro normativo di riferimento e, in particolare, sull’articolo 33 del CCII, disposizione che disciplina la cessazione dell’attività del debitore e si colloca nel Titolo III del CCII, dedicato alle imprese commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale.
La norma ha conosciuto, nel corso del tempo, una significativa evoluzione attraverso diversi interventi correttivi, che ne hanno progressivamente modificato la portata applicativa, soprattutto con riguardo agli effetti della cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese e alla possibilità di accesso alle procedure di regolazione della crisi, in particolare al concordato minore.
Il primo correttivo (D.Lgs. n. 147/2020) ha esteso la portata dell’articolo 33 anche al concordato minore, inserendo il riferimento a quest’ultimo nell’ultimo comma, prevedendo, quindi, l’inammissibilità a tale procedura da parte dell’imprenditore cancellato dal registro delle imprese.
Il terzo correttivo (D.Lgs. n. 136/2024), invece, ha apportato ulteriori e rilevanti modifiche: da un lato, ha riconosciuto anche alle imprese c.d. minori cancellate dal registro delle imprese la possibilità di accedere alla liquidazione controllata entro l’anno dalla cancellazione, inserendo, al primo comma dell’articolo 33 CCII, il riferimento a tale procedura; dall’altro, con l’aggiunta del comma 1-bis all’articolo 33 CCII, ha consentito al debitore persona fisica di accedere, dopo la cancellazione dell’impresa individuale, alla liquidazione controllata anche oltre il termine di cui al comma 1 dell’articolo 33 CCII, ossia oltre l’anno dalla cancellazione.
Tuttavia, il legislatore, pur intervenendo su più fronti non ha chiarito l’esatta portata dell’ultimo comma dell’articolo 33 CCII, che continua a sancire l’inammissibilità al concordato minore da parte dell’imprenditore cancellato, dando origine a un vivo dibattito interpretativo. La questione centrale riguarda, infatti, se tale preclusione debba intendersi riferita, oltre all’imprenditore collettivo, anche all’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese. E ciò in quanto una lettura meramente letterale della disposizione condurrebbe all’applicazione della stessa anche all’imprenditore individuale e, per l’effetto, a una disparità di trattamento difficilmente giustificabile alla luce dell’articolo 3 Cost., poiché priverebbe l’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese dell’accesso al concordato minore, consentendolo invece alle altre categorie di debitori indicate dall’articolo 2, lett. e), CCII (richiamato dall’articolo 74, comma 1, CCII) che possono invece avvalersene senza limitazioni.
Sul punto, la giurisprudenza di merito ha espresso orientamenti contrastanti. Un primo orientamento, più rigoroso, ritiene che la cancellazione dal registro delle imprese determini sempre l’impossibilità di accedere agli strumenti di composizione della crisi o del sovraindebitamento, indipendentemente dalla natura soggettiva del debitore, sia esso imprenditore individuale o collettivo. Un diverso indirizzo limita invece la portata preclusiva dell’articolo 33, ultimo comma, ai soli imprenditori collettivi, riconoscendo la perdurante legittimazione dell’imprenditore individuale cessato ad accedere al concordato minore.
Quest’ultima interpretazione si fonda su argomentazioni di carattere sistematico e logico:
- la cancellazione dell’impresa individuale non comporta l’estinzione del soggetto, poiché l’imprenditore persona fisica continua ad esistere come debitore, mantenendo un interesse giuridicamente rilevante alla regolazione della propria esposizione debitoria; e
- la cessazione dell’attività non muta la natura delle obbligazioni contratte, che restano obbligazioni commerciali, non potendo essere “convertite” in obbligazioni civili in ragione del mutato status del soggetto.
Stante l’incertezza applicativa dell’articolo 33, ultimo comma, CCII, la questione è stata rimessa, ai sensi dell’articolo 363-bis c.p.c., dalla Corte d’Appello di Firenze alla Corte di Cassazione al fine di ottenere un orientamento nomofilattico uniforme.
Tuttavia, con decreto n. 22699 del 26 luglio 2023, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità della questione per difetto di novità, ribadendo la continuità interpretativa con i precedenti in materia fallimentare, secondo cui l’imprenditore individuale volontariamente cancellatosi dal registro delle imprese non può “richiedere l’ammissione al concordato preventivo, trattandosi di procedura che, diversamente dal fallimento, caratterizzato da finalità solo liquidatorie, tende piuttosto alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, preclude “ipso facto” l’utilizzo della procedura concordataria per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare” (Cfr. Cass., n. 4329/2020). In particolare, con il summenzionato decreto, la Corte ha affermato che l’imprenditore individuale che abbia deliberatamente cessato l’attività e richiesto la cancellazione non può accedere allo strumento concordatario, venendo meno l’oggetto stesso del risanamento d’impresa.
Va in ogni caso osservato che alcune pronunce successive al summenzionato decreto della Corte di Cassazione, così come la decisione qui esaminata, hanno continuato a proporre una lettura più flessibile dell’articolo 33, comma 4, CCII, ammettendo la possibilità per l’imprenditore individuale cancellato ad accedere al concordato minore di tipo liquidatorio, evidenziando la necessità di: (i) distinguere tra il concordato minore in continuità e liquidatorio e (ii) evitare un’interpretazione eccessivamente formalistica che risulterebbe in contrasto con i principi ispiratori del Codice della Crisi e con la Costituzione.
4. Riflessioni sulla pronuncia di merito in esame
Alla luce della breve disamina della disciplina di cui all’articolo 33, ultimo comma, CCII, e della sua evoluzione normativa, la pronuncia della Corte di Appello in commento impone alcune riflessioni, tanto più rilevanti se si considera che la decisione interviene in un contesto di persistente incertezza interpretativa e a valle della nota pronuncia della Corte di Cassazione (decreto n. 22699/2023) che ha ritenuto precluso all’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese l’accesso alla procedura di concordato minore in continuità.
Da un lato, infatti, non può negarsi che la ratio sottesa all’articolo 33, ultimo comma, CCII, sia quella di evitare agli imprenditori collettivi e individuali un uso distorto degli strumenti di composizione della crisi da parte di soggetti che, cessando volontariamente l’attività e cancellandosi dal registro, dimostrano di non perseguire più un obiettivo di continuità aziendale, venendo meno così l’oggetto stesso del risanamento d’impresa. Tale impostazione risponde a un’esigenza di coerenza sistematica, volta a preservare la serietà dell’accesso agli strumenti concorsuali e a scongiurare un utilizzo improprio di procedure nate per salvaguardare l’impresa in funzione della sua prosecuzione.
Dall’altro lato, tuttavia, precludere l’accesso al concordato minore liquidatorio con apporto di finanza esterna all’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese presta il fianco a rilievi critici. E ciò in quanto tale preclusione è difficilmente conciliabile sia con i principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza sostanziale (articolo 3 Cost.) con le altre categorie di debitori indicate dall’articolo 2, lett. e), CCII (richiamato dall’articolo 74, comma 1, CCII), che possono invece avvalersi del concordato minore senza limitazioni, sia con i principi del Codice della Crisi.
In questo senso, apparirebbe, quindi, più coerente con la logica del sistema un’interpretazione che limiti la preclusione di cui all’articolo 33, ultimo comma, CCII, all’imprenditore individuale ai soli concordati in continuità, lasciando invece impregiudicata la possibilità di ricorrere al concordato minore liquidatorio, volto non al risanamento dell’impresa ma alla liquidazione ordinata del patrimonio del debitore.
Tale lettura, oltre a essere più rispettosa del principio del favor debitoris, sembrerebbe conforme al recente intervento del “correttivo ter”, che, pur non avendo inciso espressamente sull’ultimo comma dell’articolo 33, CCII, ha introdotto una serie di disposizioni dirette a rafforzare la tutela del debitore persona fisica ed a estendere la sua possibilità di accedere alla liquidazione controllata anche oltre il termine di un anno dalla cancellazione.
Tuttavia, è pure vero che l’intero articolo 33, CCII, si riferisce alla cessazione dell’attività in generale degli imprenditori, senza distinguere tra impresa individuale e collettiva, mentre laddove il legislatore ha voluto riferirsi al solo imprenditore individuale, lo ha fatto espressamente, come ad es. all’art. 33, co 1 bis di tale articolo, inserito col correttivo ter, che ha attribuito al solo imprenditore individuale persona fisica cancellato la possibilità di fare ricorso alla liquidazione controllata anche oltre l’anno dalla cancellazione
Alla luce di tali considerazioni, la pronuncia della Corte di Appello si inserisce, quindi, in un dibattito ancora aperto in merito all’interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 33, CCII, che potrà essere verosimilmente risolto solo grazie ad un intervento chiarificatore del Legislatore.
Avv. Francesca Radi
Senior Associate
Dipartimento Concorsuale e Restructuring
MFLaw Roma
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