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Sul divieto di cessione del credito e l’opponibilità del pactum de non cedendo al cessionario

  1. Premessa

Con l’ordinanza n. 5129 del 26 febbraio 2020 la Corte di Cassazione, Sezione 1^ civile, ha ribadito un principio oramai consolidato in materia di cessione del credito. Nello specifico la Suprema Corte ha stabilito che “per quanto concerne le norme sulla cessione, rilevano tre regole fondamentali. La prima deriva dall’art. 1260 c.c., comma 1, che pone come principio generale, fatti salvi determinati limiti della legge speciale qui ininfluenti, quello della libera cedibilità dei crediti; si tratta di un principio idoneo ad ingenerare nel cessionario l’affidamento di normale cedibilità del credito e, pertanto, di legittimità e regolarità della cessione operata a suo favore. La seconda è desumibile dall’art. 1372 c.c., comma 1, in base al quale il contratto non produce effetto rispetto ai terzi, se non nei casi previsti dalla legge; ed è del tutto normale che il cessionario sia estraneo all’accordo di non cedibilità intercorso – per un interesse che è soltanto di costoro – tra cedente e ceduto. La terza deriva dall’art. 1260 c.c., comma 2, secondo cui solo eccezionalmente il divieto di cessione può essere opposto al cessionario, allorquando si provi (ad onere del cedente o del ceduto) che questi ne era a conoscenza”.

 

  1. Il quadro normativo di riferimento.

La pronuncia in esame sancisce e riconosce un principio che si inserisce in un più ampio quadro normativo cui punto di partenza è il richiamato art. 1260 c.c.

Ai sensi della predetta norma, con il contratto di cessione, il creditore trasferisce ad un altro il suo diritto di credito realizzandosi con tale negozio giuridico la sostituzione di un nuovo creditore al precedente titolare del credito, lasciando inalterata l’obbligazione in tutti gli altri elementi; la cessione, pertanto, determina un caso di successione a titolo particolare nel credito.

Per quanto concerne i rapporti tra cedente e cessionario, se la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire il nomen verum e cioè l’esistenza del credito, pur non rispondendo laddove il debitore risulti insolvente. Tale ipotesi è denominata cessione pro soluto.

Il cedente, può, peraltro, con apposito patto, garantire la solvenza del debitore (nomen bonum): in tal caso, qualora il debitore ceduto non adempia, il cedente sarà tenuto (art. 1267 c.c.) a restituire quanto aveva ricevuto come corrispettivo della cessione, oltre agli interessi, alle spese della cessione e a quelle sostenute dal cessionario per escutere il debitore, salvo sempre l’obbligo ulteriore del risarcimento del danno, ove ne ricorrano i presupposti (c.d. cessione pro solvendo).

La cessione è un contratto che si perfeziona col consenso del cedente e del cessionario, di per sé produttivo del trasferimento del credito in applicazione del principio del consenso traslativo (art. 1376 c.c.).

Non è necessario, perché il trasferimento del credito si attui, che il debitore presti il suo consenso.

Il debitore, deve, tuttavia essere messo a conoscenza dell’intervenuta cessione del credito tra cedente e cessionario, atteso che in caso contrario, lo stesso avrebbe ragione di ritenere di essere sempre obbligato verso il creditore originario (cedente) e in buona fede potrebbe effettuare il pagamento nei confronti di quest’ultimo.

Il trasferimento del credito comporta il mutamento del soggetto attivo del rapporto, il debitore può, invero, far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del cedente: sia le eccezioni relative alla validità del titolo costitutivo del credito, sia le eccezioni relative ai fatti estintivi o modificativi del rapporto anteriori al trasferimento del credito o anche successivi a tale trasferimento, fino al momento in cui ha accettato la cessione o questa gli è stata notificata o ne abbia avuto conoscenza certa.

 

  1. Il pactum de non cedendo e la sua opponibilità al cessionario.

È nello scenario normativo sopra descritto che si inserisce il tema affrontato dall’ordinanza della Suprema Corte qui in commento, ed in particolare il tema del divieto di cessione e della sua opponibilità al cessionario.

Giova, in primo luogo, evidenziare come il divieto di cedibilità dei crediti può essere contraddistinto in divieto “Legale” o “Convenzionale”.

Il codice civile e le leggi speciali individuano e sanciscono l’incedibilità cosiddetta oggettiva dei crediti:

  • Crediti personali inidonei ad essere trasferiti, in quanto relativi a prestazioni rispetto alle quali assume rilievo la persona del creditore (art. art. 447 c.c);
  • crediti vantati verso lo Stato o altre Pubbliche Amministrazioni;
  • crediti per stipendi, pensioni o salari dei dipendenti di Pubbliche Amministrazioni.

Accanto alla incedibilità oggettiva si colloca la incedibilità soggettiva avente ad oggetto tra gli altri:

  • i crediti c.d. litigiosi (art. 1261 c.c.);
  • i crediti di soggetti sottoposti all’altrui potestà a chi esercita tale potestà (artt. 323, 378, 424 c.c.)

La cedibilità del credito può essere convenzionalmente esclusa (art. 1260, secondo comma, c.c.).  Ciò consente, pertanto, che le parti (debitore e creditore originario) possano accordarsi per l’esclusione del diritto di cedere il credito a terzi.  Il patto in forza del quale debitore e creditore si accordano per l’incedibilità del credito è perfettamente valido, senza che vi sia necessità di verificare la sussistenza di uno specifico interesse del debitore o del creditore a tale pattuizione. Il patto di incedibilità è opponibile ai terzi che siano venuti a conoscenza della sua esistenza – al momento della cessione – e la prova di tale conoscenza deve essere fornita da chi intende contestare il trasferimento del credito, sia esso il debitore o il creditore.

La giurisprudenza richiamata nella pronuncia in esame (ex multis Cassazione civile sez. III, 20/01/2015, n. 825), riprende l’orientamento oramai consolidato che individua nell’art. 1260 c.c. in combinato disposto con l’art. 1372 c.c. la chiave interpretativa di un più ampio principio che legittima l’affidamento nel cessionario circa la normale cedibilità del credito e, di conseguenza la regolarità della cessione operata in suo favore.

 

  1. Conclusioni.

Alla luce di quanto sopra esposto, soltanto in caso di divieto di cessione legale il debitore ceduto potrà opporre al cessionario la relativa eccezione.

In forza dell’orientamento richiamato dalla pronuncia in commento, nella diversa ipotesi di incedibilità convenzionale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1260 1^ e 2^ comma c.c., il pactum de non cedendo potrà essere opposto al cessionario soltanto se il debitore offra la prova che il cessionario medesimo ne era a conoscenza al momento della cessione.

In ipotesi di cessione dei crediti di massa, in applicazione dei principi sopra richiamati, la Corte di Cassazione ha affermato che ragioni testuali (art. 1260 2^ co.: “se non si prova che egli lo conosceva”), finalistiche (certezza della circolazione dei crediti) e logico-sistematiche (massimo contenimento dei casi di estensione degli effetti del contratto a chi non ne sia stato parte) inducono ad una interpretazione restrittiva del secondo comma dell’articolo 1260 cc; così da ritenere necessario che la prova verta non già sulla mera conoscibilità dei divieto in capo al cessionario, ma sulla sua effettiva conoscenza al tempo della cessione.

Da ciò deriva che, nel caso di Due Diligence a campione, la presenza della clausola che preveda il patto di incedibilità all’interno di documenti contrattuali, seppure non conosciuta ma conoscibile dal cessionario, non comporterebbe conseguenze pregiudizievoli nei confronti di quest’ultimo, atteso che il pactum de non cedendo sarebbe opponibile allo stesso solo laddove il cessionario avesse accettato consapevolmente di acquistare un credito convenzionalmente non trasferibile. (Sul punto Cassazione Civile n. 825/2015)

Pertanto, in coso di contestazione da parte del debitore ceduto, in assenza di tale prova incontrovertibile, il Cessionario potrà far valere nelle proprie difese in giudizio l’inopponibilità del predetto divieto.

 

Avv. Mariagrazia Scicchitano

MFLaw – Mannocchi & Fioretti

Studio Legale Associato

Sede di Roma

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