Recupero crediti e procedure esecutive

Continuità nella procedura esecutiva: implicazioni delle vicende del titolo esecutivo del creditore procedente sulla posizione dei creditori intervenuti

Premessa

Il procedimento di esecuzione forzata, purché possa definirsi legittimo, richiede la necessaria persistenza di un valido titolo esecutivo che giustifichi la prosecuzione della procedura esecutiva.

Invero, la norma dell’art. 474 c.p.c. stabilisce che “l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo, per un diritto certo, liquido ed esigibile”; la giurisprudenza è inoltre concorde nell’affermare come la necessità della prova documentale debba rispondere ad un principio di economia e sommarietà della cognizione, oltre che constatare che il documento è il tipico mezzo di prova nell’espropriazione.

In altre parole, il titolo esecutivo trova in sé stesso la forza necessaria a legittimare il suo portatore, e pertanto, tutto ciò che serve per il concreto svolgimento dell’esecuzione forzata.

 

Principio del nulla executio sine titulo

Con la sentenza n. 23654 del 2 agosto 2023, la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato la questione, che aveva creato un acceso dibattito giurisprudenziale, circa le vicende che possono inficiare il titolo esecutivo azionato dal creditore procedente, sostenendo che non travolgono la posizione dei creditori intervenuti titolati e quindi non ostacolano la prosecuzione della procedura esecutiva, purché l’intervento non sia stato effettuato dopo la pronuncia della caducazione del titolo del procedente.

A tal proposito la Suprema Corte, facendo appello al principio di autonomia degli interventi, ha chiarito come il creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo, si viene a trovare in una situazione paritetica a quella del creditore procedente, potendo sia l’uno che l’altro dare impulso al processo esecutivo compiendo direttamente atti esecutivi o indirettamente dietro richiesta al Giudice.

In tali termini si può delineare il tracciato dei punti nodali di tale pronuncia, che fonda le sue considerazioni nel principio del “nulla executio sine titulo”, il quale stabilisce essenzialmente due assunti:

  1. Il titolo esecutivo deve sussistere al momento dell’avvio del processo esecutivo;
  2. Il titolo esecutivo deve perdurare per tutta la durata dello stesso, in quanto condizione dell’azione esecutiva.

A tal proposito, la giurisprudenza si era interrogata se tale principio dovesse essere riferito esclusivamente al titolo in forza del quale l’esecuzione era stata avviata, con la conseguenza che, una volta venuto meno, risultava travolta ogni attività esecutiva già compiuta e preclusa ogni possibilità di prosecuzione dell’esecuzione già in atto, ovvero se potesse  invece riferirsi ad ogni titolo esecutivo presente nel processo, da considerarsi idoneo a sorreggere l’esecuzione nella sua interezza, indipendentemente dalle sorti del titolo del procedente.

La soluzione al predetto quesito può essere risolta esaminando due differenti fattispecie.

La prima è quella in cui in cui il titolo esecutivo del creditore procedente risulti inefficace o invalido – caso della sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo – come può accadere qualora vi fosse la revoca del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo, in conseguenza dell’accoglimento dell’opposizione o nel caso in cui sia stato dichiarato nullo il contratto di mutuo.

In tali ipotesi, il titolo esecutivo incontra un difetto tale per cui la giurisprudenza ne fa conseguire una perdita di efficacia di ogni atto esecutivo posto in essere, così che il titolo del creditore procedente viene in tal modo sottratto alla procedura esecutiva, ma viene mantenuto invece l’interesse dei creditori intervenuti alla prosecuzione dell’esecuzione senza doverla cominciare ex novo, a condizione che l’intervento sia anteriore alla pronuncia di invalidità del titolo del creditore procedente.

Diversamente, nel caso in cui, dopo l’intervento di un creditore munito di titolo esecutivo, sopravvenga la caducazione del titolo esecutivo, varrà il principio del tempus regit actum, tale per cui il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, e deve ritenersi valido in quanto compiuto nell’esercizio di una valida azione esecutiva: esso resta quale primo atto dell’iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto. I creditori così intervenuti possono beneficiare della prosecuzione della procedura esecutiva in virtù del proprio potere di impulso, e così esercitando un’autonoma azione esecutiva.

A ben vedere, dunque, bisogna unicamente distinguere a seconda che l’inefficacia del titolo con il quale il creditore procedente abbia avviato l’esecuzione forzata sia radicalmente inefficace ex tunc oppure lo sia divenuto successivamente.

Come difatti già sancito dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 61/2014 “nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall’inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la costante sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell’interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell’originario pignoramento. Ne consegue che, qualora, dopo l’intervento di un creditore munito di titolo esecutivo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l’illegittimità dell’azione esecutiva dal pignorante esercitata, il pignoramento, se originariamente valido, non è caduto, bensì resta quale primo atto dell’iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che prima ne era partecipe accanto al creditore pignorante”.

Infine, occorre distinguere il caso in cui il creditore abbia pignorato dei beni già sottoposti ad altro pignoramento da un altro creditore, intervenendo anche nella procedura esecutiva già da quest’ultimo incardinata, dal caso in cui il creditore titolato abbia unicamente spiegato intervento nell’espropriazione in corso.

Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 13 febbraio 2009, n. 3531, ha chiarito come nel primo caso l’intervento, poiché indipendente, ha la forza di sorreggere l’intera procedura in presenza di eventuali vizi, originari o sopravvenuti del primo pignoramento.

Nel caso di pignoramento successivo si avrà difatti la riunione di due processi esecutivi distinti e autonomi, perciò venuto meno uno di questi, l’altro prosegue in via autonoma facendo sì che sopravviva il procedimento originato dal pignoramento successivo; in questo modo gli effetti sostanziali del pignoramento decorrono non dal pignoramento originario ma da quello successivo.

Nel secondo caso, invece, ci troviamo di fronte ad una “manifestazione di volontà collaterale e accessoria da parte del creditore, di partecipare ad un processo che altri ha legittimamente fondato su un proprio titolo esecutivo e legittimamente iniziato con l’atto inaugurale di quel processo, il pignoramento”, perciò venuto meno, viene meno anche il presupposto su cui poggiava l’intervento.

Concludendo, l’opzione del creditore tra l’agire mediante un proprio pignoramento o intervenire nell’azione espropriativa già da altri introdotta, non appare una scelta di rischio, bensì una scelta che il creditore dovrà ponderare in base alla valutazione del titolo del procedente e della regolarità formale dell’atto di pignoramento e del processo cui ha dato luogo.

 

Dott.ssa Angela Miriam Koudsi

Trainee

MFLaw Roma

 

 

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