Recupero crediti e procedure esecutive

Fondo patrimoniale: crediti sorti nell’ambito dell’attività di impresa e onere della prova

Premessa

L’istituto del fondo patrimoniale torna ad accendere il dibattito giurisprudenziale.

Dopo aver chiaramente delineato le modalità di costituzione nonché i criteri di selezione dei crediti che possono giustificare l’aggressione dei beni conferiti nel fondo patrimoniale, la giurisprudenza di legittimità è tornata sul punto, interrogandosi sull’operatività del fondo rispetto a crediti che derivano dall’esercizio dell’attività d’impresa.

Il quesito al quale gli ermellini hanno tentato di dare risposta con la pronuncia del 2021 è relativo alla possibilità di considerare l’obbligazione, il cui titolo sorge nell’esercizio dell’attività d’impresa, come inerente ai “bisogni della famiglia” e dunque in grado di giustificare l’azione esecutiva sui beni del fondo.

 

1. Fondo patrimoniale: nozione di “bisogni della famiglia” e divieto di esecuzione.

L’istituto affonda le sue radici nella riforma del 1975 e rappresenta tutt’ora un valido strumento per destinare un patrimonio, e i relativi frutti, al soddisfacimento dei bisogni esclusivi della famiglia.

In effetti, la costituzione del fondo comporta la creazione di un patrimonio di destinazione, separato dal patrimonio generale del soggetto intestatario, e sottoposto a specifici vincoli di scopo, disponibilità e di espropriabilità che lo rendono opponibile alle azioni esecutive poste in essere da creditori il cui titolo è estraneo “ai bisogni della famiglia”.

La destinazione dei beni al soddisfacimento delle ragioni di alcuni specifici creditori rappresenta un’evidentemente deroga alla generale garanzia patrimoniale posta dall’art. 2740 c.c., tanto compressa da rendere più incerta e gravosa la soddisfazione del credito per la generalità dei creditori. I creditori, il cui titolo sorge per scopi estranei ai bisogni della famiglia, non solo si troveranno a subire l’eccezione di opponibilità del fondo, di fronte ad eventuali iniziative esecutive intraprese, ma subiranno altresì la riduzione del patrimonio posto a garanzia delle loro ragioni.

L’applicazione della disciplina del libro I, Titolo VI, capo III del Codice civile richiede, pertanto, il corretto bilanciamento tra le esigenze del nucleo familiare e le ragioni creditorie, espressione della libertà di iniziativa economica privata tutelata ex art. 41 Cost. e 2740 c.c., con la conseguenza che la deroga all’art. 2740 c.c. risulta giustificata solo quando il debitore fornisce la prova:

  • della regolare costituzione del fondo mediante annotazione nei registri dello stato civile ai sensi dell’art. 162 c.c. e trascrizione nei registri immobiliare ai sensi dell’art. 2647 c.c.;
  • della contrazione del debito per scopi estranei ai “bisogni della famiglia” e della consapevolezza del creditore di tale estraneità al momento del perfezionamento dell’obbligazione.

Ma quando può dirsi che un’obbligazione sorge per far fronte “ai bisogni della famiglia”? E quali sono i crediti il cui soddisfacimento permette l’aggressione sui beni appartenenti al fondo?

A partire dal 2003 la Corte di Cassazione ha affermato che la possibilità di aggressione di detti beni, e frutti, da parte dei creditori è segnata dalla oggettiva destinazione dei debiti assunti alle esigenze familiari, comprensive anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari (cfr. da ultimo Cass. Civ. Sent. n. 5017/2020).

I “bisogni della famiglia” sono da intendersi nel senso di ricomprendere non solo quanto necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo fornito, ma anche il soddisfacimento di quelle esigenze volte al miglioramento del benessere, anche economico, della famiglia concordato e attuato dai coniugi, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (così Cass. Civ., Sent. n. 134/1984, n. 5684/2006).

Ne consegue che il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia che, all’esito di una valutazione in concreto sull’assetto familiare, deve avere “inerenza immediata e diretta con i bisogni della famiglia” (ex multis cfr. Cass. Civ., Sent. n. 12998/2006 e n. 16176/2018).

 

2. Debiti contratti nell’ambito dell’attività professionale o d’impresa del coniuge. Orientamento tradizionale.

L’interpretazione sempre più ampia dei “bisogni della famiglia” aveva condotto la giurisprudenza a considerare che anche i crediti sorti nell’esercizio dell’attività d’impresa potessero considerarsi inerenti alle esigenze familiari, e dunque tali da giustificare l’aggressione dei beni del fondo.

A decorrere essenzialmente da Cass. n. 134/1984, la giurisprudenza di legittimità aveva infatti affermato che anche dall’esercizio di attività lavorativa (seppure non realizzata mediante la gestione o la valorizzazione dei beni in fondo) possono scaturire obbligazioni dirette ad assicurare l’armonico sviluppo della comunità familiare, oltre che il suo sostentamento essenziale.

L’obbligazione che sorge nell’ambito dell’attività di impresa non può che avere una connessione diretta e immediata con l’oggetto dell’attività stessa, ciò non toglie che, seppur indirettamente, questa possa essere preordinata alla realizzazione di proventi da destinare alle esigenze familiari.

E così, sulla scorta del dato positivo letto in chiave costituzionalmente orientata, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario era giunto a riconoscere una vera e propria presunzione di inerenza dei debiti lavorativi alle esigenze familiari, seppur in via mediata, idonea a rendere inopponibile ai creditori il cui credito sorge nell’esercizio dell’attività di impresa la costituzione del vincolo di destinazione (cfr. sentenza Tribunale di Lecce n. 2564/2012).

La presunzione di inerenza, che come si vedrà appare del tutto sconfessata dall’ordinanza della Cass., n. 2904/2021, doveva essere verificata in concreto, considerando il complessivo patrimonio familiare destinato al relativo sostentamento e/o benessere, nonché la sua capienza ai fini predetti, a nulla rilevando l’allegazione e dimostrazione da parte dell’opponente di un eventuale svolgimento di altre attività produttive di redditi potenzialmente destinabili ai bisogni della famiglia.

 

3. La portata innovativa dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2904 dell’8.02.2021.

La pronuncia n. 2904 dell’8.02.2021, supportata già da precedenti conformi (si v. Cass., Sent. del 27.04.2020, n. 8201), ha delineato invece una diversa posizione, dai risvolti decisamente rilevanti.

Essa ha, infatti, sconfessato il tradizionale orientamento, escludendo la connessione automatica tra debiti assunti nell’ambito dell’attività lavorativa dei coniugi e i fabbisogni della famiglia, e conseguentemente anche ogni presunzione di inerenza tra gli stessi.

La Corte, sposando un orientamento restrittivo, ha affermato il principio in forza del quale l’aggressione dei beni del fondo è ammissibile solo laddove il credito sia connesso direttamente e mediatamente ai bisogni della famiglia. E così, le obbligazioni sorte nell’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale, normalmente collegate direttamente e immediatamente alle esigenze dell’attività imprenditoriale, possono giustificare l’aggressione sui beni del fondo solo laddove si fornisca la prova, nello specifico caso concreto, che “diversamente dall’id quod plerumque accidit, l’atto di assunzione del debito è eccezionalmente volto ad immediatamente e direttamente soddisfarne i bisogni della famiglia”.

Se è vero che la prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.p.c. grava sul debitore che intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, secondo il nuovo orientamento, il creditore è tenuto a fornire la prova dell’inerenza del rapporto obbligatorio con i bisogni familiari.

La portata innovativa della pronuncia si sostanzia dunque nell’ inversione dell’onere della prova, rispetto a quanto tradizionalmente affermato, escludendo l’operatività di presunzioni di inerenza tra crediti da lavoro e bisogni della famiglia e addossando al creditore il più gravoso onere di provare che “pur se posto in essere nell’ambito dello svolgimento dell’attività d’impresa o professionale, nello specifico caso concreto, diversamente dall’id quod plerumque accidit, l’atto di assunzione del debito è eccezionalmente volto ad immediatamente e direttamente soddisfare i bisogni della famiglia”.

 

4. Conclusioni.

La rigida interpretazione dell’art. 170 c.c. fornita con l’ordinanza in esame si pone in antitesi con l’orientamento estensivo fino ad ora avallato dai giudici della legittimità.

La Cassazione del 2021, nel tentativo di fornire un’interpretazione della norma più afferente al dettato codicistico, ha posto a carico del creditore procedente un onere probatorio più gravoso, con l’effetto indiretto di garantire maggiormente le esigenze della famiglia a discapito di quelle della generalità dei creditori.

Ed invero, il creditore procedente, per veder soddisfatte le proprie ragioni, dovrà adesso dimostrare la connessione diretta tra il credito sorto nell’ambito dell’attività di impresa e la destinazione di questo al soddisfacimento delle esigenze di vita familiare, senza neppur poter ricorrere a prova presuntive.

Alla luce di tali osservazioni, appare opportuno chiedersi se un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco non richieda la costituzione di un diverso impianto probatorio che, grazie all’utilizzo di presunzioni e ad un diverso riparto dell’onere probatorio, possa riqualificare la posizione del creditore.

 

Avv. Carlotta Maria Ada Speciale

Associate

MFLaw Roma

 

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