Recupero crediti e procedure esecutive

Il fondo patrimoniale e le clausole liberalizzatrici introdotte in deroga all’atto costitutivo

Commento all’Ordinanza n. 32484 del 15 novembre 2023 della Corte di Cassazione.

 

Il fondo patrimoniale quale patrimonio destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia

Il fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167 cod. civ. e ss., è uno strumento di segregazione patrimoniale che consente ad uno o ad entrambi i coniugi, alle persone unite civilmente, ovvero ad un terzo, di destinare beni immobili, mobili registrati o titoli di crediti al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

La rilevanza del vincolo di destinazione, che costituisce la funzione economico – sociale attribuita dal legislatore all’istituto in parola, comporta, da un lato, la soggezione del patrimonio separato alla disciplina vincolistica relativa all’amministrazione dei beni che ne sono oggetto, dall’altro, il vincolo di inespropriabilità di cui all’art. 170 cod. civ. da parte dei creditori a conoscenza dell’estraneità dell’obbligazione assunta dal debitore rispetto ai bisogni della famiglia, espressa deroga al principio della responsabilità patrimoniale generale di cui all’art. 2740 cod. civ..

L’art. 168, ultimo comma, cod. civ. contiene un espresso rinvio alle norme relative all’amministrazione della comunione legale di cui agli articoli dal 180 al 184 cod. civ. che stabiliscono il principio dell’amministrazione disgiunta per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione e dell’amministrazione congiunta per quelli di straordinaria amministrazione e per la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento.

Il principio dell’agire congiunto di cui all’art. 180 cod. civ. va però coordinato con il disposto dell’art. 169 cod. civ., da ritenersi prevalente in quanto  norma speciale, a mente del quale “se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare i beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”.

L’infelice formulazione letterale della norma ha sollevato un acceso dibattito dottrinale sulla portata da attribuire alla clausola liberalizzatrice prevista nella prima parte della disposizione in parola.

Secondo un’interpretazione estensiva il costituente il fondo avrebbe potuto autorizzare i coniugi a compiere anche disgiuntamente gli atti di straordinaria amministrazione ed anche senza autorizzazione del giudice in presenza di figli minori, prevedendolo espressamente nello stesso atto costitutivo.

Altra tesi riteneva derogabile solo la necessità del consenso congiunto dei coniugi, ma considerava inderogabile l’autorizzazione del Tribunale in presenza di figli minori. Tesi opposta affermava invece la derogabilità della sola autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori.

Le difficoltà interpretative sopra richiamate sono state in parte superate a seguito dei diversi interventi della giurisprudenza di legittimità che ha inteso altresì colmare i vuoti di una disciplina normativa definita dalla stessa Corte di Cassazione “non esaustiva, avendo il legislatore ad essa dedicato soltanto cinque articoli, all’interno dei quali non sono puntualmente delineate e distinte le diverse fasi della costituzione, della gestione, della modificazione e dell’estinzione del fondo. Non solo, ma nella disciplina adottata sono ravvisabili profili di dubbia coerenza” (Cass. Civ, sent. n. 17811/2014).

Una prima importante pronuncia si è avuta con la sentenza n. 13622/2010, in cui la Suprema Corte, recependo i principi già affermati dalla giurisprudenza di merito maggioritaria, ha ritenuto derogabile dall’autonomia privata tutte le limitazioni di cui all’art. 169 cod. civ. ad eccezione della “necessità od utilità evidente” che deve obbligatoriamente sussistere alla base del compimento dell’atto.

Il principio così affermato veniva poi cristallizzato nelle successive sentenze n. 17811/2014 e n. 22069/2019, con cui la Corte ha affermato espressamente la possibilità di derogare, nell’atto costitutivo del fondo, all’autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori, con la precisazione che “in tal caso saranno i coniugi stessi a dover garantire nel compimento dell’atto il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori”.

Nella pronuncia del 2010 la Corte ha avuto cura di puntualizzare che, anche in presenza di una clausola che prevedesse il venir meno di tutte le limitazioni di cui all’art. 169 c.p.c., i beni non entreranno in un regime di libera commerciabilità poiché “l’eliminazione pattizia delle limitazioni di cui all’art. 169 cod. civ., varrebbe, infatti, solo per i coniugi ma non anche per i terzi ai quali non per questo si vedrebbe riconosciuto il diritto di imporre vincoli sui beni in questione” al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 170 cod. civ.

Alla luce degli approdi giurisprudenziali sopra richiamati è dunque consentito all’autonomia privata derogare, nell’atto costitutivo del fondo, alla regola del consenso congiunto dei coniugi per gli atti di straordinaria amministrazione, nonché all’autorizzazione del tribunale in presenza di figli minori, ferma restando l’impossibilità per i creditori diversi da quelli di cui all’art. 170 c.p.c. di agire esecutivamente sui beni del fondo.

Infatti, l’eventuale eliminazione pattizia dei vincoli di cui all’art. 169 cod. civ. non determinerà, a sua volta, il venir meno del vincolo di destinazione, sicchè l’iscrizione ipotecaria sarà consentita solo in quanto prodromica ad una esecuzione sui beni del fondo in virtù di un credito acquisito per soddisfare i bisogni della famiglia.

 

Le clausole liberalizzatrici introdotte mediante modifica dell’atto costitutivo del fondo (Cass. civ., Ordinanza n. 32484/2023)

Con la recente Ordinanza n. 32484/2023 la Corte ha integrato il percorso giurisprudenziale sopra richiamato affermando che la deroga pattizia al disposto di cui all’art. 169 cod. civ. potrà essere validamente introdotta dai coniugi, non solo in sede di costituzione del fondo, ma anche successivamente, mediante modifica inserita con atto pubblico ai sensi dell’art. 163 cod. civ.

Infatti, nel richiamare il principio ormai da tempo affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21658/2009, -secondo cui il fondo patrimoniale ha natura di convenzione matrimoniale con conseguente applicazione delle norme dettate dagli artt. 162 (forma delle convenzioni matrimoniali) e 163 cod. civ., (modifica delle convenzioni matrimoniali)- la Corte ha ritenuto che “la libertà negoziale consente di stipulare un patto contrario a quello stabilito nella fase costitutiva del rapporto di fondo patrimoniale, sia pure non senza limiti, non essendo consentite decisioni negoziali in contrasto con l’interesse della famiglia e per il bene della famiglia, in quanto ogni scelta negoziale per essere legittima deve essere coerente con gli interessi della famiglia”.

Sulla scorta di tali principi la Corte ha quindi rigettato la domanda spiegata dai coniugi per far dichiarare la nullità e/o annullamento e/o inefficacia dell’atto di modifica del fondo patrimoniale con il quale era stata prevista la facoltà di concedere ipoteca sull’immobile adibito a casa coniugale, senza necessità di autorizzazione giudiziale pur in presenza di figli minori, e della successiva iscrizione di ipoteca volontaria rilasciata a garanzia di un mutuo erogato dalle banche e destinato ad un piano di risanamento della società di proprietà degli attori, “unica o prevalente fonte di sostentamento della famiglia”, gravata da un’esposizione debitoria sorta anteriormente alla costituzione del fondo.

Nella fattispecie in esame la Corte ha ritenuto la modifica legittima poiché risultavano salvaguardate le esigenze di rispetto degli interessi della famiglia, come emergeva  dall’atto pubblico modificativo in cui era stato espressamente previsto che, “essendo stata la costituzione del fondo patrimoniale preceduta da prestazione di fideiussione da parte del coniuge nei confronti di una banca, con potenziale inefficacia del fondo patrimoniale e pregiudizio degli interessi patrimoniali della famiglia” vi era la “necessità di modificare la convenzione matrimoniale … anche al fine di tutelare gli interessi patrimoniali familiari da azioni di creditori preesistenti alla costituzione del fondo, ampliando la potenzialità di credito nei riguardi dei coniugi e in particolare della società al fine di assicurare adeguati proventi reddituali alla famiglia”.

La Corte ha quindi valutato positivamente la modifica finalizzata ad inserire la previsione della possibilità per i coniugi di concedere ipoteca sull’immobile senza necessità di ricorrere all’autorizzazione giudiziale, in quanto giustificata con il fine di “sostenere l’attività che costituisce la forma di sostentamento della famiglia” e risanare una posizione debitoria della società di proprietà dei coniugi sorta anteriormente alla costituzione del fondo, con ciò scongiurando il rischio di azioni revocatorie sulla casa coniugale.

La pronuncia in commento ha l’indiscusso pregio di riconoscere che la funzionalizzazione del vincolo di destinazione implica necessariamente un grado di elasticità del fondo stesso che consenta ai coniugi di amministrarne i beni in relazione alle contingenti e mutevoli esigenze familiari: “la ratio della norma è evidentemente quella di porre delle limitazioni alla libera commercializzazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale proprio per assicurare che gli stessi restino a garanzia del soddisfacimento delle esigenze familiari, senza peraltro stabilire un vincolo di indisponibilità assoluta che potrebbe essere controproducente per gli interessi della famiglia ove questa si trovasse nella necessità di liquidare alcuni beni del fondo per le proprie esigenze ovvero la liquidazione si rilevasse particolarmente proficua e vantaggiosa”.

La cedevolezza del vincolo di indisponibilità viene quindi riconosciuta sempre e soltanto a fronte della necessità od utilità evidente per i bisogni della famiglia, per cui ogni modifica all’atto costitutivo, in deroga alla disciplina legale di cui all’art. 169 cod. civ., sarà legittima solo in quanto operante nell’ambito del solco in tal guisa delineabile.

 

Conclusioni

La recente pronuncia della Suprema Corte ha aperto nuove prospettive alla gestione del fondo patrimoniale, offrendo alle famiglie maggiore flessibilità nel loro assetto patrimoniale, semplificando e snellendo le procedure di modifica dell’atto costitutivo, specie in determinati momenti della vita familiare in cui il vincolo potrebbe dimostrarsi di ostacolo al superamento di una transeunte situazione di insolvenza o comunque di difficoltà economica, tanto più in occasione di eventi imprevisti ed imprevedibili, ovvero potrebbe addirittura impedire il conseguimento di eventuali profitti per il nucleo familiare.

Consentire ai coniugi di introdurre clausole modificative dell’atto costitutivo in deroga al disposto di cui all’art. 169 c.p.c., senza necessità di dover ricorrere all’autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori, significa certamente agevolare l’accesso al credito da parte delle famiglie, le quali potranno offrire in garanzia agli Istituti di credito beni in precedenza vincolati senza dover attendere i tempi processuali per conseguire l’autorizzazione del Giudice e, soprattutto, potranno autodeterminare le necessità o utilità familiari perseguite con l’operazione cui la modifica è finalizzata.

In tale contesto, gli Istituti di credito, chiamati a concedere il finanziamento ipotecario sul bene facente parte del fondo, saranno necessariamente onerati di una attenta verifica preliminare dell’atto pubblico di modifica, in cui dovranno essere ben esplicitate le ragioni di “necessità od utilità evidente” dell’operazione negoziale a cui la modifica stessa è finalizzata, onde scongiurare il rischio di una successiva declaratoria di inefficacia della garanzia ipotecaria eventualmente ricevuta.

Peraltro, in assenza di specifica indicazione nell’atto modificativo delle esigenze familiari perseguite con il finanziamento ipotecario, il creditore, non solo potrebbe subire la declaratoria di invalidità della garanzia ipotecaria volontaria, ma altresì essere esposto al rischio di inespropriabilità del bene di cui all’art. 170 cod. civ. ove il finanziamento venisse contratto dai coniugi per scopi estranei alla famiglia.

Per contro, sembrerebbe doversi escludere pacificamente che in capo all’Istituto finanziatore gravi un onere di verifica in ordine all’effettivo impiego, da parte dei coniugi, delle somme erogate per le finalità familiari dichiarate nell’atto modificativo del fondo.

Conclusivamente si ritiene che la pronuncia in commento debba essere accolta con favore in quanto, fermi gli oneri di verifica degli atti modificativi del fondo in capo agli Istituti, consentirà di velocizzare  l’erogazione di finanziamenti alle famiglie, nonchè alle società con assetto proprietario essenzialmente familiare e che rappresentino la prevalente fonte di sostentamento della famiglia, presidiando immediatamente il prestito con l’iscrizione di ipoteca volontaria, in luogo di quella giudiziale che, di contro, presuppone l’intervenuta formazione del titolo giudiziale e non garantisce la presenza del bene all’interno del patrimonio aggredibile una volta conclamato l’inadempimento del mutuatario.

 

 

Avv. Daniela Raparelli

Associate

MFLaw Roma

 

 

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