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Interruzione del processo per intervenuto fallimento. Le Sezioni Unite stabiliscono che l’interruzione debba essere dichiarata dal giudice.

Analisi della sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 7 maggio 2021 n. 12154 che ha risolto il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine al dies a quo per riassumere il processo.

 

  1. Il confronto tra l’interruzione del processo nel codice di procedura civile e nella legge fallimentare.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 12154 del 7 maggio 2021, mettono la parola fine al contrasto giurisprudenziale sull’individuazione del dies a quo per la riassunzione del processo, “interrotto” per intervenuta dichiarazione di fallimento di una delle parti.

La sentenza in commento prende le mosse dal necessario e fondamentale confronto tra la disciplina interruttiva – non automatica – prevista dagli art. 299 e ss c.p.c.1 e la diversa previsione della legge fallimentare, in cui, come noto, l’interruzione viene definita come “automatica”2.

Le Sezioni Unite, in particolare, si soffermano sulle diverse modalità con cui l’evento interruttivo può venire legalmente a conoscenza delle parti nella disciplina ordinaria, da un lato, ed in quella dettata in tema di fallimento, dall’altro.

Ebbene, in ambito processual-civilistico ricorre un tradizionale rigore sulle modalità di interruzione del processo. Gli atti idonei a produrre tale interruzione hanno effetti costitutivi e sono frutto di una dichiarazione di volontà o di scienza (resa in udienza o notificata) che esprime in maniera certa la volontà che il giudizio sia interrotto.

Ciò posto, se in ambito civilistico è esclusa la rilevanza di atti diversi da quelli previsti dalla legge, non vi è invece altrettanta tipicità nella disciplina prevista dalla legge fallimentare.

L’art. 43 L.F., infatti, nel prevedere un’interruzione ipso jure, non è accompagnato da alcuna predeterminazione delle forme di produzione della conoscenza dell’evento interruttivo in capo alla parte interessata a riassumere o proseguire il giudizio.

Tale difficoltà nel riconoscere quale atto sia effettivamente idoneo ad individuare il dies a quo per la decorrenza del termine per la riassunzione ha dato origine a una variegata giurisprudenza sul tema.

 

  1. La conoscenza in forma legale per la decorrenza del termine per riassumere: i diversi orientamenti.

Elemento discriminante viene considerato, anche sulla scorta del noto orientamento della Corte Costituzionale3, la “conoscenza in forma legale” dell’evento interruttivo automatico, a cui ancorare il dies a quo del termine per la riassunzione o prosecuzione del processo.

Sul punto, è stata tuttavia riscontrata una divergenza sulla qualificazione effettiva della “conoscenza legale” e quali siano le forme di produzione idonee a fissare fatti significativi da cui desumere con ragionevole certezza la conoscenza dell’evento interruttivo. Le Sezioni Unite hanno quindi ripercorso i diversi orientamenti che si sono formati in tema.

2.1. La conoscenza processuale.

Secondo un primo orientamento l’informazione dell’evento interruttivo automatico deve costituire una dichiarazione, notificazione o certificazione al pari di quanto stabilito dall’art. 300 c.p.c., non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita.

2.2. La conoscenza dello specifico giudizio.

Secondo altro orientamento, meno restrittivo, le forme di conoscenza legale non sono tipizzate, ma è in ogni caso necessario che la conoscenza legale coinvolga anche lo specifico giudizio nel quale l’evento è destinato ad operare.

2.3. L’ordinanza d’interruzione pronunciata in udienza.

Ulteriore orientamento fa leva sul carattere decisivo dell’ordinanza d’interruzione pronunciata in udienza, ascrivendone l’unica portata di conoscenza legale.

2.4. La simmetria tra il curatore e la parte non colpita dall’evento interruttivo.

Secondo altro orientamento se il curatore necessita della duplice conoscenza sia dell’evento interruttivo che del processo in cui esso incide, allo stesso modo, anche la parte sulla quale non abbia inciso il fallimento deve avere, per il tramite del proprio procuratore costituito, conoscenza effettiva circa lo specifico processo interrotto.

2.5. La conoscenza della parte personalmente.

Soffermandosi sulla nozione di effettività, un quinto indirizzo ritiene, invece, che la conoscenza legale della dichiarazione di fallimento può radicarsi solo in capo alla parte personalmente e non in capo al suo procuratore.

Ripercorsi tali orientamenti, le Sezioni Unite hanno rinvenuto in tali indirizzi un comune sforzo di tipizzazione delle forme di conoscenza, tale da cercare ex ante dei mezzi idonei a cristallizzare in modo certo il momento in cui inizia a decorrere il termine per riassumere il processo in caso di fallimento.

 

  1. La decisione delle Sezioni Unite: l’onere di riassunzione è legato alla dichiarazione giudiziale di interruzione per fallimento della parte.

La tesi sposata della sentenza in analisi è il terzo orientamento descritto, che vede nella pronuncia di interruzione del processo la forma più congrua di produzione della conoscenza.

È quindi la dichiarazione giudiziale l’elemento indefettibile costitutivo del dies a quo per la decorrenza del termine di riassunzione o prosecuzione.

Secondo le Sezioni Unite, tale scelta costituisce lo strumento più idoneo per contemperare – da un lato – l’esigenza di certezza, funzionale a garantire diritto di difesa delle parti coinvolte, e – dall’altro – l’esigenza di valorizzare il carattere di specialità dell’art. 43 L.F. rispetto alla normativa codicistica.

In particolare, richiamando diverse pronunce della Suprema Corte, viene affermato che, intervenuto, il fallimento, l’interruzione è sì sottratta all’ordinario regime dettato in materia dall’art. 300 c.p.c., ma nel senso che la stessa è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto comunque a conoscenza dell’evento, e non anche nel senso che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata o meno dichiarata.

Viene, pertanto, assicurata l’inefficacia di ogni atto processuale compiuto nel processo interrotto automaticamente per l’intervenuto fallimento, ma allo stesso tempo, viene data rilevanza alla formale constatazione da parte del Giudice, il quale – in via di cooperazione e in risposta all’esigenza di celerità – deve formalmente constatare l’avvenuta interruzione automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta.

La comunicazione della dichiarazione di interruzione, potrà quindi essere fatta, d’ufficio, anche nei confronti del curatore, che per definizione non era parte del processo interrotto, così da garantire un adeguato grado di certezza ed evitare dispute sulla fidefacienza degli atti extraprocessuali.

La doverosità giudiziale della dichiarazione viene, pertanto, vista dalle Sezioni Unite come un dato di idoneità rappresentativa assoluta rispetto ad ogni altro mezzo partecipativo dell’evento interruttivo del processo, perché “riunisce le qualità istituzionali della fonte privilegiata (il soggetto emittente) alla certezza dell’inerenza del fallimento esattamente al processo su cui incide (affermata proprio dal giudice che ne è singolarmente investito)”.

In tal modo, il giudice può utilizzare gli strumenti di raccolta delle informazioni (tra tutti, l’emissione della sentenza dichiarativa di fallimento) che gli consentono di rendere tempestivamente e anche d’ufficio la dichiarazione di interruzione.

Tale forma di accertamento, peraltro, viene ritenuta rispondente ai principi di priorità di trattazione dei giudizi in cui sia parte un soggetto fallito, di cui al D.L. n. 83/2015 e all’art. 43, co. 4, L.F., e ai doveri e alle prerogative di cui agli artt. 127, 175 c.p.c. e 81bis disp. att. c.p.c., oltre che ai principi CEDU, tra cui l’art. 6, § 1 della Convenzione.

 

  1. Il principio di diritto. Considerazioni finali.

Sulla scorta delle considerazioni sinora esposte, le Sezioni Unite hanno risolto i contrasti giurisprudenziali in corso dichiarando inidonea la comunicazione ex art. 92 L.F. a costituire il dies a quo per la riassunzione del processo, attribuendo tale valore solo alla dichiarazione giudiziale pronunciata in udienza.

Il principio di diritto è pertanto il seguente:

« in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi della L.Fall., art. 43, comma 3, il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi della L.Fall., artt. 52 e 93 per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorchè gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima ».

Tale pronuncia, auspicata da tempo, si considera condivisibile e coerente con il vigente sistema processuale, oltre con il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza.4

È stato pertanto finalmente posto un punto fermo su un argomento cruciale del diritto, evitando così il perdurare di interpretazioni giurisprudenziali contrastati e la conseguente creazione di situazioni disomogenee, lesive del diritto di difesa costituzionalmente garantito.

 

Avv. Flavia Verduchi
MFLaw – Mannocchi & Fioretti
Studio Legale Associato

Sede di Roma


 

1. A mente di tali norme, se l’evento si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento della dichiarazione in udienza (o, ancor prima, dalla notifica ad opera del difensore) il processo è, pertanto, interrotto e il termine perentorio per la prosecuzione o riassunzione dello stesso è di tre mesi dall’interruzione, pena l’estinzione del processo.
2. Con la riforma operata dal D.Lgs. 09 gennaio 2006 n. 5, è stato aggiunto all’art. 43 l. fall. un terzo comma che recita: “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”.
3. In conformità alla decisione della Corte costituzionale (Corte cost. 21 gennaio 2010, n. 17) che, richiamando le proprie pertinenti pronunce sulla materia, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 305 c.p.c. nella parte in cui farebbe decorrere il termine per la riassunzione del processo ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita dalla data dell’interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di apertura di fallimento, e non dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo: nella pronuncia si evidenzia come sia da tempo acquisito il principio, accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui, nei casi di interruzione automatica del processo, il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l’evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima.
4. il quale all’art. 148, 3° comma, prevede chiaramente che “l’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo. Il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice”.
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