Recupero crediti e procedure esecutive
LA CONFISCA EDILIZIA DEVE PRESERVARE IL DIRITTO DI IPOTECA SE IL CREDITORE IPOTECARIO NON È RESPONSABILE DELL’ABUSO Commento alla sentenza n. 160 del 3 ottobre 2024 della Corte Costituzionale.
PREMESSA
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 160 del 3 ottobre 2024 (Pres. Barbera, Red. Navarretta), si è pronunciata in materia di confisca edilizia e diritto di ipoteca, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire. La medesima declaratoria di illegittimità costituzionale è stata estesa in via conseguenziale anche all’art. 31, comma 3, primo e secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, norma che è subentrata alla precedente e che presenta un identico contenuto precettivo.
IL CASO
La Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con ordinanza n. 26/2024 ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 (norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), per violazione degli artt. 3, 24, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui «non prevedono – in caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su di un terreno sul quale sia stato costruito un immobile abusivo, immobile gratuitamente acquisito al patrimonio del comune – la permanenza dell’ipoteca sul terreno a garanzia del creditore ipotecario».
Nel caso di specie, l’ordinanza di rimessione riferisce che una società, – cessionaria di un credito garantito da ipoteca iscritta su un terreno sul quale i debitori avevano realizzato un immobile abusivo, l’area di sedime e quella circostante -, si era vista dichiarare dal Tribunale di Agrigento l’improcedibilità dell’esecuzione poiché i cespiti di cui sopra erano stati acquisiti al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, con conseguente estinzione del diritto di ipoteca iscritto sul fondo.
L’ordinanza del giudice dell’esecuzione veniva poi confermata dalla sentenza resa dal Tribunale di Agrigento nel successivo giudizio di opposizione agli atti esecutivi, avverso la quale la società creditrice proponeva ricorso per cassazione così arrivandosi all’incidente di costituzionalità sollevato dalla Corte rimettente.
LA NORMATIVA CENSURATA
La norma censurata si colloca nel quadro normativo di una disciplina che regola le conseguenze di violazioni urbanistico-edilizie particolarmente gravi e che consistono nella realizzazione di opere: in assenza di concessione edilizia (ora permesso di costruire), in totale difformità dalla stessa concessione (art. 7., co. 1, L. 47/1985), ovvero con variazioni essenziali.
In virtù di detta norma, una volta che le summenzionate violazioni vengono accertate dal competente organo comunale, laddove il comune non provveda direttamente alla demolizione dell’abuso e al ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile, ingiunge a quest’ultimo di demolire l’abuso con un provvedimento che ha funzione ripristinatoria. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria (secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche) alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, vengono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune.
Il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, una volta notificato al trasgressore, costituirà, difatti, titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari dell’acquisto in capo al comune.
Per impedire il meccanismo acquisitivo, il responsabile dovrà ottenere la concessione in sanatoria entro il citato termine di 90 giorni dall’ingiunzione; viceversa, in caso di acquisizione dell’opera, il comune deve disporne con ordinanza la demolizione a spese del responsabile, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
LA QUESTIONE DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE E I RIMEDI PER IL CREDITORE PRIMA DELLA PRONUNCIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
I dubbi di legittimità costituzionale traggono origine dall’inquadramento della confisca fra gli acquisti a titolo originario della proprietà; qualificazione sostenuta dalla Corte di Cassazione sin dal 2006 (Cass., n. 1693 del 2006), evocata anche in un orbiter dictum dalle Sezioni Unite civili con sentenza n. 322/1999 e che ha trovato continuità nella successiva giurisprudenza di legittimità, la quale ha ravvisato un meccanismo autonomo che prescinde da <<una qualsivoglia vicenda di trasferimento dal precedente titolare del bene>> (Cass., n. 33570/2021; Ordinanza n. 2194/2020; n. 23583/2017; n. 23453/2017; n. 1693/2006).
Da tale qualificazione – e in assenza di una previsione di legge che specifichi la sorte dei diritti reali minori – il diritto vivente ha quindi dedotto che eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti vengono caducati unitamente al precedente diritto dominicale, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione. La confisca viene, in sostanza, assimilata a tutti gli effetti «al “perimento del bene”, vicenda della quale l’art. 2878 c.c. predica, come conseguenza, l’estinzione del diritto reale di garanzia» (Cass., n. 1693 del 2006 e Consiglio di Stato, sent. n. 16/2023). Ciò renderebbe irrilevanti le norme sull’ipoteca, che attribuiscono al creditore ipotecario il diritto di sequela sul bene e il diritto a essere soddisfatto con preferenza in sede espropriativa, con la conseguenza che, quest’ultimo, privato del diritto di rifarsi in via preferenziale sui beni ipotecati, dovrà confidare nella permanenza di una parte del terreno eccedente il decuplo dell’area di sedime oggetto della garanzia reale, non acquisito dal comune, sul quale esercitare l’azione esecutiva, o tentare di richiedere idonea garanzia su altri beni del debitore (art. 2743 cod. civ.) o agire, in via risarcitoria, rispetto al responsabile dell’inottemperanza all’obbligo di demolizione, per la perdita del diritto di ipoteca.
LA PRONUNCIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale, ragionando in ordine alla funzione della confisca quale <<sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione>> che rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla, ritiene del tutto irragionevole una disciplina che determina l’automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito, a scapito di un creditore ipotecario che non sia responsabile dell’abuso.
Secondo la Consulta, tale irragionevolezza è evidente nel sacrificio imposto al creditore, dal momento che finirebbe per subire le conseguenze di un illecito al quale è del tutto estraneo, poiché – se non è responsabile dell’abuso edilizio – non può essere destinatario dell’ordine di demolizione di cui all’art. 7, terzo comma, L. 47/1985 e, dunque, non può rispondere dell’inottemperanza dell’ordine. D’altro canto, il creditore ipotecario non può neppure ritenersi obbligato propter rem alla demolizione, posto che tale diritto reale di garanzia non gli attribuisce né il possesso né la detenzione del bene.
La Corte Costituzionale, oltretutto, nel raccordo tra la normativa edilizia e le regole che governano la procedura esecutiva, ha ritenuto che la natura abusiva di un immobile non incide sulle vicende relative al diritto di ipoteca, non essendovi ragioni per circoscrivere la tutela del creditore ipotecario solo all’ipotesi in cui questi abbia iscritto ipoteca o sia divenuto cessionario del diritto prima della realizzazione dell’immobile abusivo: invero è previsto, per un verso, che la nullità degli atti aventi ad oggetto immobili abusivi non si applica a quelli <<derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali>> (art. 17, quinto comma, T.U. dell’edilizia); mentre, per un altro verso, la disciplina della vendita forzata assicura il rispetto della normativa urbanistico-edilizia posto che l’aggiudicatario: a) qualora l’immobile presenti la c.d. doppia conformità, dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria; b) qualora l’immobile sia condonabile, la domanda di sanatoria può essere presentata entro 120 giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della legge; c) se non sia sanabile o non trovino applicazione eventuali condoni, il carattere abusivo e non sanabile dell’immobile deve risultare dall’avviso di vendita e il bene viene trasferito all’aggiudicatario unitamente all’obbligazione di provvedere alla demolizione, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di inottemperanza.
Per l’effetto, la Consulta è chiara nel ritenere che la presenza di un abuso edilizio non incide sulla circolazione e sulla tutela del credito ipotecario, le cui facoltà si fanno valere in sede espropriativa nel rispetto della normativa urbanistico-edilizia.
Posto che l’ordinamento giuridico accorda normalmente tutela al creditore che acquista l’ipoteca su un immobile già abusivo, non vi è ragione per cui quel medesimo creditore ipotecario, non responsabile dell’abuso edilizio, debba essere pregiudicato solo perché l’immobile abusivo viene confiscato dal comune per effetto di una sanzione inflitta per l’inottemperanza a un ordine di demolizione, di cui altri devono rispondere.
Sotto l’aspetto dell’esperibilità della vendita forzata, la confisca non frappone ostacoli alle azioni esecutive nei confronti del comune che abbia acquisito il bene a titolo originario, atteso che il comune va considerato quale terzo acquirente del bene ipotecato ex artt. 2858 ess. c.c. e i beni confiscati devono ritenersi acquisiti al patrimonio disponibile dell’ente pubblico (salvo l’ipotesi eccezionale, del mantenimento dell’opera per prevalenti interessi pubblici ai sensi dell’art. 7, comma quinto, L. 47/1985).
La Corte, infine, chiarisce che il sacrificio imposto dalla norma censurata al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio oltre che irragionevole è del tutto sproporzionato, atteso che imporrebbe al medesimo creditore una gravosa, finanche dispendiosa, continua vigilanza sull’immobile per far salvo il proprio diritto reale dalle condotte del debitore o di terzi che, in quanto idonei a creare i presupposti della confisca edilizia, potrebbero determinare il perimento giuridico del bene e l’estinzione della sua garanzia (art. 2813 c.c.); iniziative che la Consulta ritiene inesigibili dal creditore alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sulla condotta attiva atta a mitigare il danno (Cass. n. 22352/2021; Ordinanza n. 3797/2019; Ordinanza n. 24522/2018).
Sproporzionati, sono anche i rimedi previsti per il creditore ipotecario nell’ipotesi di estinzione dell’ipoteca conseguente alla confisca, definiti dalla Corte “aleatori” e “inadeguati”: quest’ultimo, privato del diritto di rifarsi in via preferenziale sui beni ipotecati, dovrebbe confidare nella permanenza di una parte del terreno eccedente il decuplo dell’area di sedime oggetto della garanzia reale, non acquisito dal comune, sul quale esercitare l’azione esecutiva, o tentare di richiedere idonea garanzia su altri beni del debitore (art. 2743 cod. civ.) o agire, in via risarcitoria, rispetto al responsabile dell’inottemperanza all’obbligo di demolizione, per la perdita del diritto di ipoteca.
CONCLUSIONI
La Corte Costituzionale, in tema di demolizione di immobile abusivo, con la pronuncia in commento n. 160 del 3 ottobre 2024 ha ritenuto irragionevole e sproporzionato che non sia fatto salvo il diritto di ipoteca, ove il creditore titolare di tale garanzia reale non sia responsabile dell’abuso edilizio.
Il creditore non è quindi tenuto a rispondere della mancata demolizione dell’immobile abusivo, vale a dire dell’illecito al quale consegue la sanzione della confisca. Del resto, la Corte ha rilevato che la tutela del credito ipotecario non sacrifica l’interesse al rispetto della normativa urbanistico-edilizia. Tale tutela si realizza, infatti, attraverso l’espropriazione forzata e, se l’immobile oggetto della vendita forzata è abusivo, l’aggiudicatario dovrà comunque o sanare l’abuso o demolirlo.
Il creditore (non responsabile dell’abuso edilizio) potrà conseguentemente procedere al pignoramento contro l’ente pubblico che ha acquisito i beni a titolo originario, purché l’ipoteca sia stata iscritta antecedentemente al provvedimento di acquisizione, dal momento che lo stesso viene equiparato al terzo acquirente del bene ipotecato ex artt. 2858 e ss. c.c. e i beni vanno ritenuti acquisiti al patrimonio disponibile dell’ente pubblico (salvo l’ipotesi eccezionale, del mantenimento dell’opera per prevalenti interessi pubblici ai sensi dell’art. 7, comma quinto, L. 47/1985).
Avv. Benedetto Claudio Corrao
Associate
MFLaw Palermo
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