LA MISURA DELL’ONERE DELLA PROVA INCOMBENTE SULL’ISTITUTO DI CREDITO QUALE TERZO INTERESSATO ALL’AMMISSIONE AL PASSIVO NELLE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI COMMENTO AL DECRETO DI AMMISSIONE AL PASSIVO DEL 21.02.2024 EMESSO DAL TRIBUNALE DI TORINO

IL CASO.

Il Tribunale di Torino ha accolto l’opposizione promossa dalla Banca ai sensi dell’art. 59 comma 6 del Codice Antimafia, fornendo spunti in merito alla misura dell’onere della prova incombente sul terzo interessato all’ammissione al passivo nelle misure di prevenzione patrimoniali.

Nel caso di specie, il Tribunale in seguito all’annullamento con rinvio disposto dalla Suprema Corte con sentenza n. 46718/2023 in relazione a precedente decreto di rigetto dell’opposizione allo stato passivo spiegata dalla Banca, ha fatto propri i principi dettati dalla Cassazione in merito alla necessaria coincidenza temporale tra pericolosità sociale manifesta del proposto e concessione del credito da parte dell’Istituto: ““In materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della valutazione in ordine al requisito – necessario per l’ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro – dell’insussistenza di alcun vincolo di strumentalità tra il credito e l’attività illecita del soggetto pericoloso o quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego, il giudice è tenuto a valutare specificamente lo scarto temporale tra la concessione del credito e l’emersione della pericolosità, potendo legittimamente avvalersi di una presunzione semplice di finalizzazione del finanziamento alla dissimulazione di risorse occulte derivanti dall’attività illecita quando risulti che il credito sia stato erogato in costanza di una manifesta e percepibile condizione di pericolosità sociale del ricevente, ma non anche quando, al momento, dell’erogazione la pericolosità fosse assente od “occulta”, con conseguente apparenza di liceità della destinazione delle risorse”.

 

BREVI CENNI SULLA DISCIPLINA.

La disciplina inerente alla tutela delle ragioni creditorie del soggetto terzo interessato all’ammissione al passivo nelle misure di prevenzione patrimoniali è contenuta nell’apposito Titolo IV del D. Lgs n. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia) agli artt. 52 e ss.

Nel contesto delle misure di prevenzione patrimoniali, dopo la disposizione delle misure ablative del sequestro e dell’eventuale e successiva confisca, volta all’apprensione definitiva in favore dello Stato dei beni o rapporti riconducibili direttamente o indirettamente al proposto, si apre l’apposita fase di ammissione al passivo prevista in favore dei terzi che intendano vedere riconosciute le proprie pretese creditorie.

Proprio nell’ambito del predetto art. 52 al comma 1 è previsto che:

La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni:

  1. a) che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati;
    b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento;
    c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale;
    d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso
    ”.

La procedura di ammissione è regolata dagli artt. 57 e ss del Codice e ricalca per grandi linee quanto già previsto in ambito civilistico dalla disciplina della Liquidazione Giudiziale, dunque, la predisposizione di un elenco dei creditori da parte dell’Amministratore Giudiziario da sottoporre al Giudice Delegato, il quale, conseguentemente, darà termine perentorio non superiore a 60 gg prima per la presentazione delle domande di ammissione, fissando altresì l’udienza di verifica dei crediti entro i 60 gg successivi.

Le domande di ammissione a loro volta devono contenere i requisiti previsti dall’art. 58 del Codice e così:

“a) le generalità del creditore;
b) la determinazione del credito di cui si chiede l’ammissione allo stato passivo ovvero la descrizione del bene su cui si vantano diritti;
c) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, con i relativi documenti giustificativi;
d) l’eventuale indicazione del titolo di prelazione, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale”
.

Le domande così presentate vengono esaminate dall’amministratore giudiziario il quale ai sensi del comma 5bis dello stesso articolo “redige un progetto di stato passivo rassegnando le proprie motivate conclusioni sull’ammissione o sull’esclusione di ciascuna domanda”. L’Amministratore, altresì, “deposita il progetto di stato passivo almeno venti giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dei crediti. I creditori e i titolari dei diritti sui beni oggetto di confisca possono presentare osservazioni scritte e depositare documentazioni aggiuntive, a pena di decadenza, fino a cinque giorni prima dell’udienza”.

All’udienza di verifica dei crediti le domande presentate verranno poi esaminate dal Giudice Delegato con l’assistenza dell’Amministratore Giudiziario e la presenza facoltativa del pubblico ministro ai sensi dell’art. 59 del Codice, “indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell’esclusione”.

Terminato tale esame il Giudice Delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto che viene comunicato all’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati, nonché ai creditori intervenuti e non.

Il decreto così reso è impugnabile ai sensi dell’art. 59 comma 6 del Codice mediante opposizione allo stato passivo proponibile davanti al medesimo Tribunale dal creditore escluso entro il termine di 30 gg dalla comunicazione o dall’emissione del decreto.

A sua volta, il decreto con il quale viene definita la fase di opposizione è passibile di ricorso in Cassazione nel termine di 30 gg dalla sua notificazione.

 

SULL’ONERE DELLA PROVA GRAVANTE SUL CREDITORE AI FINI DELL’AMMISSIONE.

Così delineati i tratti principali della disciplina inerente all’ammissione al passivo del soggetto terzo creditore, ci si sofferma sui requisiti necessari per l’accoglimento della relativa domanda, in particolare sui requisiti previsti alla lettera b) dell’art. 52 al comma 1 del Codice Antimafia.

Alla predetta disposizione è difatti previsto che la confisca non pregiudica il diritto del terzo a condizione che quest’ultimo dimostri la sussistenza di due condizioni fondamentali: i) l’assenza di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del soggetto pericoloso o quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego; ii) la buona fede del creditore e l’inconsapevole affidamento dello stesso.

Tali requisiti, in seguito all’entrata in vigore della L. n. 161/2017, devono sussistere congiuntamente[1] al fine di poter ottenere l’ammissione al passivo mentre, prima della novella, erano previsti quali requisiti alternativi tra loro.

L’onere della prova dunque grava interamente sul creditore istante il quale deve altresì contrastare la presunzione semplice alla quale può far ricorso il Giudice Delegato, per quanto concerne la strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto, nel caso in cui lo stesso sia sorto nel perimetro temporale di pericolosità sociale manifesta del destinatario della misura di prevenzione.

Nel contesto così delineato, è quindi l’Istituto di Credito terzo a dover sopportare l’intero sforzo probatorio, potendo invece gli Organi procedenti far riferimento anche a “mere” presunzioni semplici a giustificazione della misura ablativa disposta.

Proprio il ricorso estensivo a tali presunzioni, unitamente ad un allargamento ingiustificato dell’onere della prova gravante sulla Banca terza interessata, pone il creditore in una posizione di difficoltà in sede di ammissione al passivo[2].

 

LA PRONUNCIA DEL TRIBUNALE DI TORINO.

Il Tribunale di Torino, in composizione differente rispetto al Collegio che aveva disposto il precedente rigetto dell’opposizione, facendo proprio l’indirizzo dettato dalla Suprema Corte, ha altresì avuto modo di esprimere un principio “di buon senso”, ovvero che rispetto ai terzi creditori “una valutazione in ordine alla buona fede (…) non può essere condotto in via esclusivamente presuntiva”.

La pronuncia riformata aveva infatti ritenuto strumentale nonché contraria a buona fede la concessione di credito a soggetto coniugato col proposto sull’errato presupposto di pericolosità sociale manifesta di quest’ultimo nel periodo di erogazione del prestito.

L’assunto veniva giustificato su precedenti criminosi del proposto risalenti ai primi anni 90 ed ai primi anni 2000, a distanza di oltre 14 anni dall’effettiva concessione del credito.

Secondo la prospettazione contenuta nell’annullato decreto, la Banca avrebbe dovuto essere a conoscenza del passato criminale del proposto, tale da ingenerare dubbi sulla liceità della richiesta di finanziamento, dovendo perfino provvedere a richiesta di certificato penale al momento dell’istruttoria della pratica.

Il Giudice di rinvio ha correttamente osservato che “Appare quindi obiettivamente erroneo, o comunque non coerente con i principi di diritto affermati dalla Corte, affermare che il mutuo del 2016 a favore di (…), sarebbe stato erogato in costanza di manifesta e percepibile pericolosità del (…), perché i precedenti penali del proposto (l’ultimo risaliva al 2002) apparivano davvero assai lontani nel tempo per poterne affermare la percepibilità dai terzi; il provvedimento ha poi omesso di indicare di quali indici oggettivi poteva disporre la Banca per poter accertare la posizione della società; in tal senso si condivide che il creditore non sia tenuto ad esercitare poteri ispettivi, ad esempio attraverso la richiesta di certificati penali, che peraltro nel caso di specie avrebbero dovuto riguardare il (…), non socio della (…), ma solo coniuge del socio unico (…)” (n.d.r. grassetto).

La pronuncia resa all’esito del giudizio di rinvio, dunque, oltre a richiamare le statuizioni della Cassazione in merito alla necessaria coincidenza temporale tra la pericolosità sociale manifesta e la concessione del credito, per poter far ricorso alla presunzione di strumentalità rispetto all’attività illecita del proposto, ha posto un necessario limite a quella che è la soglia di “controllo” che è lecito aspettarsi da un operatore qualificato come la Banca in sede di istruttoria della pratica di finanziamento.

Parte della giurisprudenza di merito è infatti propensa ad utilizzare il termine “valutazione del merito di legalità” dell’operazione per onerare l’Istituto di Credito di controlli che non ritrovano espressa consacrazione nell’ambito del Codice Antimafia.

La Banca, quale operatore altamente qualificato, ha senza dubbio onere di dimostrare puntualmente la propria buona fede e l’assenza di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita, come sancito dall’art. 52, anche alla luce delle risorse a sua disposizione, sicuramente maggiori rispetto al soggetto terzo “non istituzionale”; tanto detto, non pare ragionevole il voler attribuire all’Istituto terzo anche compiti ispettivi estranei alle proprie competenze che non possono che essere limitate ad una valutazione del merito creditizio dell’operazione in base alle evidenze fornite dal cliente e risultanti dalle banche dati.

E’ utile ricordare che la Banca è già destinataria di rilevanti obblighi e controlli sanciti dalla normativa antiriciclaggio ed oggetto di costante aggiornamento; dunque con il rispetto di tali disposizioni, ben si potrebbe già sostenere la corretta valutazione del merito di “legalità” delle operazioni di finanziamento poste in essere, senza ricorrere a spunti creativi non allineati rispetto all’effettivo espletamento dell’attività bancaria.

 

CONCLUSIONI.

Le misure di prevenzione patrimoniali per loro intrinseca natura scontano la (forse) ineliminabile tensione tra due legittime esigenze: da un lato la necessità dello Stato di togliere i beni ed i frutti dell’attività criminale dalla disponibilità del proposto; dall’altro le aspettative creditorie dei terzi di buona fede estranei alla commissione degli illeciti.

Il corretto bilanciamento tra tali, non sempre coincidenti aspettative, pare non essere ancora raggiunto.

Sembra dunque sempre più auspicabile un intervento diretto sulle disposizioni del titolo IV del Codice Antimafia volte a garantire una definizione maggiormente chiara del concetto di buona fede e assenza di strumentalità, nonché, delle relative modalità di accertamento che risultano rimesse all’attività giurisprudenziale per la loro compiuta definizione, con conseguente incertezza derivante dall’indirizzo adottato dal Giudicante del caso, come anche confermato dall’anticipazione della verifica alla fase dell’applicazione della confisca, operata solo da alcuni Tribunali.

 

Avv. Andrea Pisani

Associate

MFLaw Milano

 

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[1] Decisiva in tal senso l’aggiunta del “sempre che” nella seconda parte della disposizione di cui alla lettera b).

[2] Ma analoghe considerazioni valgono nel caso in cui l’Istituto creditore ipotecario sia chiamato ad intervenire nella precedente fase di disposizione della confisca successiva al sequestro poiché anche in tale sede viene vagliata la presenza dei requisiti previsti dall’art. 52 in relazione alla concessione del credito.

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