LA PROVA DELLA LEGITTIMAZIONE ATTIVA DELLE CESSIONARIE, E DELLE LORO MANDATARIE, NEL PROCESSO CIVILE: TRA PRECLUSIONI ISTRUTTORIE E TUTELA EFFETTIVA. Nota a Cass. civ., sez. II, ord. 18 settembre 2024, n. 25087

1. Il caso: legittimazione attiva e prova documentale in appello
Con l’ordinanza n. 25087/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema ricorrente nel contenzioso bancario e finanziario: la legittimazione sostanziale e processuale delle cessionarie di crediti e i limiti all’ammissibilità della relativa prova in giudizio.
Nel caso di specie una società, cessionaria di un credito originariamente vantato nei confronti di un fideiussore, aveva agito ex art 2901 c.c. contro il debitore e il suo donatario, al fine di sentir dichiarare l’inefficacia dell’atto di donazione immobiliare tra gli stessi stipulato, e ritenuto lesivo della garanzia patrimoniale del creditore.
Tuttavia, in primo grado, il Tribunale di Roma aveva dichiarato inammissibile la domanda per difetto di legittimazione attiva. La Corte d’appello, in sede di gravame, aveva confermato la pronuncia di rigetto, ritenendo tardiva la produzione documentale effettuata solo in secondo grado, perché soggetta alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c.
In sede di legittimità, la società ricorrente aveva lamentato la violazione dell’art. 345 c.p.c., assumendo che la prova della legittimazione processuale non soggiace alle preclusioni istruttorie previste per i nova in appello.
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato la sentenza impugnata rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione, con una motivazione fondata su un principio di diritto ormai consolidato:
«Il divieto di produzione di nuovi documenti in appello di cui all’art. 345 c.p.c. si riferisce soltanto ai documenti relativi al merito della causa e non a quelli utili a dimostrare la legittimazione processuale» (richiamando sul punto Cass. n. 17062/2019 e Cass. n. 5610/2019).
Ne consegue, prosegue la Corte, che:
«la produzione è soggetta a decadenza nel solo caso in cui non venga effettuata entro il termine assegnato dal giudice ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.c.».
2. La natura della legittimazione processuale: tra regolarità formale e accesso alla tutela
È noto che la legittimazione ad agire si configura come un presupposto processuale distinto dal merito della domanda, in quanto attiene alla titolarità della posizione soggettiva attiva nel rapporto giuridico dedotto in giudizio. La prova della legittimazione attiva, ove contestata, deve essere fornita dalla parte attrice e, come per ogni altra condizione dell’azione, deve risultare documentalmente provata.
Per le società cessionarie e per le loro mandatarie (frequenti nei contenziosi su NPL), la prova della legittimazione attiva si ritiene definitivamente fornita mediate la produzione in giudizio di: contratto di cessione, tabulato di cessione e/o dichiarazione di cessione, avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, visura camerale della cessionaria per attestare l’iscrizione della cessione nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 58 TUB, mandati gestori e procure speciali. Tale documentazione, ha chiarito la giurisprudenza, ove non contestata, deve considerarsi idonea a comprovare la legittimazione attiva delle cessionarie (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 2018, n. 25166).
Ma quali sono i limiti relativi alla produzione in giudizio di tale documentazione? E qual è il rapporto con l’art. 345 c.p.c. che vieta la produzione di nuovi mezzi di prova in secondo grado, salvo che si tratti di prove indispensabili o la loro produzione non sia stata possibile prima.
Sul punto la pronuncia in esame fornisce un importante chiarimento e, in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato, riconosce che i documenti relativi alla regolarità della posizione processuale (e non al merito della controversia) non soggiacciono alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c. poiché, se si impedisse la produzione documentale in appello, si assisterebbe all’effetto paradossale di sacrificare il diritto d’azione davanti a questioni di carattere puramente formale, violando così il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
3. Precedenti conformi e difformi: lo stato dell’arte
L’ordinanza n. 25087/2024 si colloca nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai maggioritario (v. già Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2019, n. 17062) sulla scorta del quale:
«Il divieto di produzione di nuovi documenti in appello […] non si estende a quelli relativi alla legittimazione processuale», precisando che essi «non integrano prova sul merito, ma atti volti a regolarizzare la posizione processuale della parte».
Analogamente, già Cass. civ., sez. II, ord. 26 febbraio 2019, n. 5610 aveva escluso l’applicabilità dell’art. 345 c.p.c. ai documenti volti a dimostrare la correttezza dell’attività processuale.
E, in modo ancora più esplicito, Cass. civ., sez. VI, ord. 30 ottobre 2017, n. 25835 ha ritenuto ammissibile la produzione in appello del contratto di cessione del credito, proprio in quanto attinente alla legittimazione attiva e non al petitum o alla causa petendi.
Tuttavia non sono mancate, in passato, decisioni di segno contrario che hanno negato l’ammissibilità in appello della documentazione tardivamente prodotta, soprattutto in assenza di un’espressa richiesta di assegnazione di termine ex art. 182, co. 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 2014, n. 687). In tali casi, la giurisprudenza ha fatto leva sul principio dispositivo e sull’onere probatorio gravante sulla parte sin dal primo grado.
4. Considerazioni conclusive
L’ordinanza in commento si inserisce con coerenza nel quadro evolutivo della giurisprudenza di legittimità, che si orienta verso una lettura funzionale e sostanziale delle preclusioni istruttorie, volta a calibrare l’ambito di applicazione dell’art. 345 c.p.c. in base alla funzione probatoria svolta: se essa incide sul merito ricade nel divieto dell’art. 345; se attiene alla legittimazione, la produzione è da ritenersi ammissibile anche in appello, salva l’applicazione dell’art. 182 c.p.c.
La portata concreta è dunque evidente: anche in appello è possibile sanare la mancata produzione della documentazione attestante la legittimazione, purché ciò non si traduca in un abuso processuale o in una violazione del contraddittorio.
Per completezza e certezza del diritto, sarebbe auspicabile un intervento normativo, o al più una pronuncia a Sezioni Unite, che chiarisca in modo definitivo il rapporto tra regole sulle prove, oneri documentali e funzione processuale della legittimazione, evitando che questioni meramente formali si trasformino in ostacoli insormontabili per l’esercizio del diritto di agire in giudizio.
Avv. Carlotta Maria Ada Speciale
Associate
MFLaw Palermo
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