Crisi di impresa & Restructuring

L’inadempimento dell’accordo ex art. 182-bis l.f.: natura concorsuale e procedibilità dell’istanza di fallimento senza necessità della risoluzione

Gli ultimi arresti del Tribunale di Roma alla luce del recente orientamento della Corte di Cassazione.

1. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
L’art. 182-bis l. fall. prevede che l’imprenditore in crisi può domandare, depositando la documentazione richiesta dall’art. 161 l. fall., “l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”.
Tale normativa, introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento nel 20051, è stata oggetto di varie novelle e di una recente riforma, non ancora in vigore2, e presuppone un patto stragiudiziale con una parte consistente dei creditori (almeno 60%), che mira a risolvere la crisi aziendale prima che essa sfoci nell’insolvenza irreversibile.
L’accordo vincola esclusivamente i creditori che vi abbiano acconsentito, ma allo stesso tempo assicura anche i creditori che non abbiano aderito al patto. Ciò perché l’art. 182-bis l. fall. prevede, come requisito di attuabilità dell’accordo stesso, la sua idoneità ad assicurare il pagamento dei creditori estranei escludendo in tal modo qualsiasi effetto remissorio del loro credito.
Con l’istituto in esame il legislatore ha inteso valorizzare il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi dell’impresa, la cui efficacia è garantita dal provvedimento di omologazione del Tribunale.
Allo stesso tempo, tuttavia, la disciplina scarna e generica di cui all’art. 182-bis l. fall., ha generato una forte incertezza interpretativa circa la natura dell’istituto.
***

2. La natura degli Accordi. Divergenza interpretativa.
A seguito dell’introduzione degli Accordi di ristrutturazione dei debiti, si sono formati in dottrina e in giurisprudenza due contrapposti orientamenti.
Infatti, da un lato, vi era chi leggeva nella disciplina un chiaro carattere privatistico e, dall’altro, chi affermava il carattere concorsuale degli Accordi.
Ora, approfondire tali aspetti assume particolare rilevanza soprattutto per i risvolti pratici che comporta sposare l’una o l’altra tesi. Dimostrazione ne è, come si vedrà, l’interesse vivo che la Suprema Corte ha manifestato per la questione.

2.1. La tesi della natura privatistica.
La presenza di un vero e proprio accordo tra creditore e debitore ha fatto prevalere, sino a poco tempo fa, la tesi della natura privatistica degli Accordi di ristrutturazione, facendoli qualificare come un «normale contratto di diritto privato».
Fonte di tale convincimento è, tra l’altro, la mancanza di un provvedimento giudiziale di apertura della procedura, l’assenza di organi deputati alla gestione del procedimento, nonché la circostanza che l’accordo vincola unicamente i soggetti coinvolti nell’accordo, mancando quel carattere di universalità e il principio della par condicio creditorum, tipici delle procedure concorsuali.
Ma ancora: l’assenza nella normativa di un regime speciale per i pagamenti e per gli atti costitutivi di diritti di prelazione in corso di procedura e la mancanza di sospensione del decorso degli interessi e l’assenza di retrodatazione del c.d. “periodo sospetto” per l’esperimento delle azioni revocatorie fallimentari in caso di successivo fallimento alla data del provvedimento di omologazione dell’accordo3.
Effetto pratico di tale orientamento era che nel caso di inadempimento dell’Accordo, al creditore aderente non restava altro strumento se non attivarsi per richiedere la dichiarazione giudiziale di risoluzione dell’accordo per inadempimento e, solo successivamente, eventualmente agire per ottenere il fallimento del proprio debitore4.

2.2. La tesi della natura concorsuale.
Ha invece avuto voce minoritaria la tesi secondo cui l’istituto degli Accordi di ristrutturazione dei debiti andrebbe qualificato come procedura concorsuale.
È stato affermato che, nonostante si fondino su un accordo privatistico, di fatto gli Accordi presentano elementi caratterizzanti il concordato.
Ed infatti, vi è pur sempre un controllo giudiziale da parte del Tribunale fallimentare attraverso il procedimento di omologazione dell’accordo, al pari della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo ex art. 161 l. fall.
Inoltre, vige anche nella procedura che ci occupa il c.d. principio di esclusività che impedisce l’instaurazione di altri procedimenti cautelari o esecutivi individuali e concorsuali da parte dei creditori anteriori in pendenza di un accordo di ristrutturazione.
Peraltro, nonostante non vi sia una previsione specifica, il “concorso dei creditori” e il carattere di “universalità” della procedura, si manifestano, da un lato, con la possibilità data a tutti i creditori, attraverso la pubblicazione dell’Accordo nel registro delle imprese, di aderire od opporsi allo stesso, e, dall’altro lato, nel fatto che la crisi deve essere regolata in maniera complessiva, attraverso il soddisfacimento sia dei creditori aderenti all’accordo, in base a quanto pattuito, sia di tutti i creditori estranei, integralmente5.
A sostegno della natura concorsuale, inoltre, può annoverarsi l’introduzione nel sistema, ad opera dell’art. 9 del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132, dell’art. 182-septies l. fall. Con tale novella si è creata una particolare “sottospecie” di accordo di ristrutturazione, riservata agli intermediari finanziari, nella quale trova spazio altresì un meccanismo di cram dawn di natura tipicamente concorsuale.
***

3. Gli interventi della Suprema Corte.
In tale contesto, negli ultimi due anni sono intervenute numerose pronunce della Corte di Cassazione che sembrano aver definitivamente messo il punto sul tema, andando a consolidare un orientamento che sembrava sino a quel momento minoritario: l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. appartiene agli istituti del diritto concorsuale, e più precisamente, rientra tra le procedure concorsuali.
A tale conclusione la Corte è giunta esaminando nel complesso la disciplina di tali Accordi che prevede, da un lato, forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata (in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione) e, dall’altro, effetti protettivi (quali i meccanismi di protezione temporanea e l’esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione), tipici dei procedimenti concorsuali (cfr. Cass., Sez. I, 18 gennaio 2018, n. 1182 e Cass., Sez. I, 25 gennaio 2018, n. 1896; Cass., Sez. I, 12 aprile 2018, n. 9087)6.
L‘istituto così come delineato quale strumento procedimentale di regolazione della crisi di impresa alternativo al fallimento appare, peraltro, coerente con quanto desumibile dal diritto dell’Unione europea, oramai orientato ad ascrivere gli accordi di ristrutturazione tra le procedure concorsuali pubbliche (cfr. artt. 1 e 2 del Regolamento (UE) 2015/848 sull’insolvenza transfrontaliera e “Quadri di ristrutturazione preventiva” contemplati dalla Raccomandazione n. 2014/135/UE e dalla Proposta di Direttiva COM (2016) 723)7.
***

4. Riflessi pratici: inadempimento dell’Accordo e istanza di fallimento.
La teoria che vede gli Accordi di ristrutturazione come una tipologia di procedura concorsuale (anziché come un patto di carattere privatistico), come accennato, comporta importanti riflessi.
Tra i tanti, è stato innanzitutto affermato il principio secondo cui nell’accordo di ristrutturazione il Giudice, in sede di omologa, non è limitato dalla sola verifica di regolarità formale degli adempimenti previsti per legge, ma è tenuto a verificare tutti gli aspetti di legalità sostanziale e tra questi anche quelli inerenti la effettiva garanzia di soddisfacimento dei creditori estranei all’accordo nei tempi previsti per legge8. Tale verifica va fatta in termini di plausibilità e ragionevolezza, cosicché è ben possibile negare l’omologazione ove l’accordo, per come formulato, renda di per sé irragionevole e irrealistico l’integrale pagamento in quei termini (cfr. Cass., Sez. I, 08 maggio 2019, n. 12064).
Ma non solo.
Stante la natura concorsuale dell’istituto, nel caso di inadempimento dell’accordo, in analogia con l’art. 186 l. fall., andranno applicati gli stessi principi e arresti giurisprudenziali9 relativi all’ipotesi di inadempimento di un concordato preventivo omologato: il creditore potrà proporre l’istanza di fallimento nei confronti di impresa senza necessità una pregiudiziale pronunzia di risoluzione dell’accordo.
È quanto statuito di recente da alcune pronunce di merito del Tribunale di Roma.
È stato, infatti, affermato che il creditore che avrebbe dovuto trovare soddisfo nel contesto di soluzione concorsuale della crisi d’impresa e non abbia visto adempimento, è legittimato alla proposizione di istanza di fallimento dell’imprenditore insolvente, prescindendo dalla preliminare risoluzione (Trib. Roma, 23 luglio 2019, n. 573).
A tale conclusione si deve giungere sia nell’ipotesi in cui di tale istanza di fallimento sia promotore il creditore estraneo all’accordo che il creditore aderente insoddisfatto.
Ed infatti, “per quel che concerne i creditori estranei all’accordo deve affermarsi la possibilità di chiedere il fallimento dell’imprenditore, proprio debitore, successivamente all’omologazione e indipendentemente da pregiudiziali pronunzie di sua risoluzione.
Tale evenienza deve ammettersi perché, altrimenti, risulterebbe ingiustificatamente compromessa la pretesa del creditore non aderente e non partecipe al quale il componimento para-negoziale della debitoria imprenditoriale non può essere opposto. (così Cass. 21.06.2018 n. 16347)” (Trib. Roma, 23 luglio 2019, n. 573).
Ma lo stesso potere è stato riconosciuto anche al creditore aderente, il quale se non si ritiene soddisfatto secondo le forme previste nell’accordo, ex art. 15, ultimo comma, l. fall., può proporre richiesta di fallimento dell’imprenditore inadempiente.
In particolare, il Tribunale capitolino, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità formatasi con riferimento alla possibilità per il creditore concorsuale insoddisfatto di proporre istanza di fallimento nei confronti dell’impresa ammessa a concordato preventivo, senza previamente sollecitare la risoluzione del concordato, ai sensi dell’art. 186 l. fall. (Cass., sez. VI, 17 Luglio 2017, n. 17703; Cass., sez. VI, 11 Dicembre 2017, n. 29632).
Sovrapponendo tale principio concorsuale all’istituto degli Accordi di ristrutturazione è stato affermato che “Sulla scorta di tali argomenti motivi ritiene, il tribunale, che anche con riferimento al creditore aderente all’accordo di ristrutturazione e le cui ragioni non abbiano trovato soddisfo in attuazione esecutiva del convenuto meccanismo di componimento della crisi d’impresa debba predicarsi la legittimazione alla proposizione di istanza di fallimento dell’imprenditore, indipendentemente e a prescindere dalla pregiudiziale risoluzione dell’accordo” (Trib. Roma, 23 luglio 2019, n. 573).

[1] D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, e successivamente ritoccata dal d.lgs. 169/2007, dal D.L. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 e dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134.
[2] Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019 – Supplemento Ordinario n. 6. La nuova disciplina, come previsto dall’art. 389, entrerà in vigore decorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione in G.U.. Al riguardo, si osserva che la neo-approvata disciplina, pur non definendo espressamente all’art. 2 la nozione di “procedura concorsuale”, attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento di un procedimento unitario per l’ingresso ai vari istituti di regolazione della crisi o dell’insolvenza, sembra aver di fatto riconosciuto agli accordi di ristrutturazione dei debiti la natura di procedura concorsuale.
[3] Le pronunce di merito aderenti all’orientamento privatistico sono: Trib. Bologna, 17 novembre 2011; Appello Napoli, 1° dicembre 2014; Trib. Verona, 16 febbraio 2015;. Appello Firenze, 7 aprile 2016; Trib. Milano, 10 novembre 2016; Trib. Benevento, 8 febbraio 2017; Trib. Reggio Emilia, 19 luglio 2018.
[4] In realtà sul punto il Tribunale di Roma, nella decisione commentata (Trib. Roma, 23 luglio 2019, n. 573), afferma che anche laddove si sostenesse la natura negoziale dell’accordo ex art. 182 bis l. fall., il contenuto novativo dell’originario credito abiliterebbe il creditore aderente a far valere l’inadempimento della propria pretesa come ridefinita nel contesto convenzionale che, pertanto, a tali fini non necessiterebbe di risoluzione poiché ne integra il relativo titolo costitutivo.
[5] In favore della minoritaria tesi della natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione: Trib. Bari, 21 novembre 2005 secondo cui “D’altro canto, la finalità pubblicistica che permea tutti i procedimenti concorsuali e che implica che sia data tutela anche agli interessi generali è garantita dall’intervento dell’autorità giudiziaria. Infatti, l’accordo deve essere sottoposto all’omologazione da parte del tribunale che deve decidere anche sulle opposizioni secondo le modalità di seguito riportate. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis l. fall. sono caratterizzati da due fasi: quella propriamente stragiudiziale, nella quale l’imprenditore «in crisi» negozia con i creditori la propria situazione debitoria e quella giudiziale, in cui l’accordo necessita dell’omologazione per essere produttivo di effetti legali. La relazione illustrativa al d.l. 35/05 invero non chiarisce se il nuovo istituto abbia una sua autonomia o sia piuttosto una particolare ipotesi di concordato preventivo (come del resto ritenuto in origine dalla ditta individuale istante), in quanto essa, a tale proposito afferma che «il concordato diviene lo strumento attraverso il quale la crisi di impresa può essere risolta anche attraverso accordi stragiudiziali che abbiano ad oggetto la ristrutturazione dell’impresa”.
[6] Si legge nell’importante sentenza Cass., Sez. I, 12 aprile 2018, n. 9087 : “piuttosto che attribuire agli Accordi di ristrutturazione un’improbabile connotazione privatistica, confliggente non solo con l’embrionale verifica di ammissibilità esplicitata nel- l’ipotesi anticipatoria di cui all’art. 182-bis, co. 7, L. Fall., ma anche con la imprescindibilità dell’omologazione giudiziale ex art. 182-bis, co. 4, L. Fall. (peraltro soggetta allo stesso reclamo previsto per il concordato preventivo ex art. 183 L. Fall.) e soprattutto con gli effetti pregiudizievoli che i creditori estranei subiscono direttamente e indirettamente per effetto dell’accordo con la maggioranza dei creditori aderenti che rappresenti almeno il 60% dei crediti […], dovrebbe prendersi atto che la sfera della concorsualità può essere oggi icasticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione […])”.
[7] Cass., Sez. I, 19 giugno 2018, n. 16161 e Cass., Sez. I, 21 giugno 2018, n. 16347.
[8] Il tema, peraltro, è parallelo a quello noto e ampiamente dibattuto in sede di concordato preventivo, con la dottrina (soprattutto) e la giurisprudenza da sempre impegnate a delineare i limiti del sindacato del Giudice. Nel caso di specie si ritiene che siffatto controllo, che entri nel merito della fattibilità del piano, vada a svilire la figura dell’attestatore, voluto invece del legislatore come referente e garante di questi aspetti.
[9] Si tratta delle recenti Cass. Civ., 17 luglio 2017, n. 17703 e Cass. Civ., 11 dicembre 2017, n. 29632, per le quali il creditore potrebbe chiedere il fallimento anche senza la previa risoluzione del concordato; parzialmente conformi al principio, Cass. Civ., 25 settembre 2017, n. 22273 e  Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26002. Va tuttavia dato conto di numerose pronunce di merito, anche successive, contrarie a tale orientamento.

 

Avv. Flavia Verduchi

Studio Legale Mannocchi & Fioretti

Sede di Roma

Trigger Newsletter Fancybox