Crisi di impresa & Restructuring

L’interruzione automatica del processo in caso di fallimento e la decorrenza del termine per la riassunzione ex art. 305 c.p.c.

Analisi dei diversi orientamenti della Corte di Cassazione sul tema della “conoscenza legale” al fine di individuare il dies a quo per riassumere il processo.

 

  1. L’interruzione del processo nel codice di procedura civile e nel codice fallimentare.

In tema di interruzione del processo la normativa di riferimento è quella prevista dagli artt. 299 e ss c.p.c.: di norma se l’evento si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti1.

Dal momento della dichiarazione in udienza (o, ancor prima, dalla notifica ad opera del difensore) il processo è interrotto e il termine perentorio per la prosecuzione o riassunzione dello stesso è di tre mesi dall’interruzione, pena l’estinzione del processo.

Per quanto riguarda l’ipotesi in cui una delle parti venga dichiarata fallita, prima della riforma operata dal D.Lgs 5/2006 non vi era alcuna norma che disponesse l’automatica interruzione del processo.

L’interruzione pertanto avveniva solo quando l’evento veniva dichiarato o notificato, secondo la previsione processual-civilistica dell’art. 300 c.p.c.2

Con la riforma operata dal D.Lgs. 09 gennaio 2006 n. 5, è stato aggiunto all’art. 43 l. fall. un terzo comma che recita: “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”.

Tale disposizione sembrerebbe aver introdotto una causa di interruzione automatica del processo dando origine a una variegata giurisprudenza sul tema dell’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine per la riassunzione.

 

  1. La decorrenza del termine per riassumere il processo in caso di fallimento.

Occorre operare una distinzione per l’ipotesi in cui in cui il processo interessato dall’evento interruttivo penda dinanzi alla Corte di Cassazione, ovvero dinanzi ai tribunali e/o alle corti di merito.

2.1. Giudizi di legittimità.

Ebbene, per quanto riguarda i processi dinanzi la Corte di Cassazione, la Suprema Corte afferma che il giudizio di legittimità, essendo dominato dall’impulso d’ufficio, non può mai essere interessato da un’interruzione automatica: “La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato in tema di giudizio di cassazione, l’intervenuta modifica della L.Fall., articolo 43, per effetto del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo 41, nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Cass 21153/10; Cass 17450/13;Cass 24635/15)” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 23 Marzo 2017, n. 7477; Corte di Cassazione, Sezione V Tributaria – Sentenza 28 settembre 2016, n. 19119).

2.2. Giudizi di merito.

Discorso diverso, invece, è da operarsi per i giudizi di merito. Ed infatti, per quanto sia noto che l’apertura del fallimento comporta l’automatica interruzione del processo, non vi è né una norma né giurisprudenza univoca che indichino esattamente il dies a quo da cui far decorrere il termine per la riassunzione.

In mancanza di un intervento delle Sezioni Unite, gli ultimi arresti giurisprudenziali considerano elemento discriminante la “conoscenza legale” dell’intervenuta sentenza dichiarativa di fallimento.

Ed infatti i giudici di legittimità affermano che in casi di interruzione automatica del processo, il termine per la riassunzione non decorra dal momento in cui l’evento interruttivo è occorso, ma dal giorno in cui dello stesso la parte interessata alla riassunzione ne abbia avuto conoscenza in forma legale3.

In tale contesto, tuttavia, vi è divergenza su cosa possa qualificarsi effettivamente “conoscenza legale”: se essa debba riguardare solo l’evento interruttivo (tramite comunicazione del Curatore ex art. 92 l.fall. o della cancelleria all’esito dell’istanza di fallimento)4 ovvero se debba interessare anche lo specifico giudizio su cui l’evento è destinato ad operare.

 

  1. Prima tesi: la conoscenza formale dell’evento.

Secondo un primo orientamento la cd. conoscenza legale, in caso di interruzione automatica, non si verifica a fronte della dichiarazione in udienza dell’intervenuto fallimento da parte del difensore del fallito, bensì in presenza di una dichiarazione, di una notificazione o di una certificazione rappresentativa dell’accadimento a fede privilegiata.

Sarebbe pertanto sufficiente a far decorrere il termine per la riassunzione del giudizio interrotto automaticamente la conoscenza dell’evento avvenuta sia tramite il difensore della parte colpita dall’evento interruttivo che tramite il Curatore fallimentare o, infine, tramite la cancelleria che trasmette la sentenza di fallimento al creditore istante che abbia partecipato alla fase prefallimentare (Cass. 15 marzo 2018, n. 6398).

Aderendo a tale tesi si riduce drasticamente il margine di tempo per poter effettuare la riassunzione del processo. Ad esempio, per chi abbia presentato istanza di fallimento, ogni processo dovrebbe essere riassunto entro tre mesi dalla comunicazione di avvenuto fallimento da parte della cancelleria.

 

  1. Seconda tesi: la conoscenza specifica dell’evento e del processo interrotto.

Un secondo e diverso orientamento della Corte di Cassazione, invece, ritiene che ai fini dell’idoneità della conoscenza dell’evento interruttivo a far decorrere il termine di riassunzione ex art. 305 c.p.c., non sia sufficiente il carattere formalmente “legale” della stessa (e cioè che la conoscenza sia acquisita per il tramite di atti muniti di fede privilegiata, quali le dichiarazioni, le notificazioni o le certificazioni rappresentative dell’evento medesimo), ma è necessario che abbia specificamente ad oggetto tanto l’evento in sé considerato quanto lo specifico processo nel quale esso deve esplicare i propri effetti.

In tal senso si confronti quanto statuito nella pronuncia Cass., civ. sez. III, del 30 novembre 2018, n. 31010: “Ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione del processo, requisito imprescindibile resta la conoscenza legale dell’intervenuta sentenza dichiarativa di fallimento. E legale può dirsi soltanto la conoscenza che sia stata acquisita nell’ambito dello specifico giudizio, sul quale l’evento interruttivo è in concreto destinato ad operare, per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione, rappresentativa dell’evento interruttivo, che sia di per sé assistita da fede privilegiata ovvero che sia corredata da altro atto assistito da fede privilegiata. Anche la comunicazione effettuata dal curatore fallimentare ai sensi dell’articolo 92 della legge fallimentare può costituire strumento idoneo ai fini della decorrenza di detto termine, sempre che sia indirizzata al difensore della parte processuale, contenga esplicito riferimento alla lite pendente (ed interrotta) e sia corredata da copia autentica della sentenza di fallimento (a comprova della legittimazione del soggetto mittente della comunicazione)”.

Nello stesso senso, cfr. altresì Cass., 15 marzo 2018, n. 6398; Cass., 27 giugno 2018, n. 16887; Cass., 28 ottobre 2019 n. 27516; Cass., 26 giugno 2020, n. 12890).

A ciò si aggiunga che a favore di tale tesi depone non solo la circostanza che – come visto – nei giudizi, quale quello di Cassazione, dominati dall’impulso d’ufficio, non interviene alcuna interruzione automatica, ma anche la considerazione che l’applicazione letterale dell’interruzione dall’apertura del fallimento, risulterebbe contraria al vigente sistema processuale in quanto comporterebbe il paradosso che il deposito dell’istanza di riassunzione avvenga in assenza di un formale provvedimento di interruzione, essendo peraltro possibile che, nelle more, venga revocato il fallimento (evento quest’ultimo non conoscibile dalla parte).

In tal senso depone, infatti, l’ordinanza della Corte di Appello di Roma, con la quale è stata rigettata l’istanza di riassunzione depositata prima ancora che il processo venisse dichiarato interrotto: “letta l’istanza con cui l’appellante ha chiesto riassumersi il procedimento, adducendo eventi interruttivi già verificatisi; ritenuto che la riassunzione del procedimento presuppone l’avvenuta declaratoria di interruzione da parte del giudice, onde un’istanza di riassunzione che preceda la declaratoria di interruzione appare inammissibile; PQM dichiara l’inammissibile l’istanza”(cfr. Corte d’Appello di Roma, Decreto di rigetto n. 1326/2020 del 21 febbraio 2020).

Inoltre, secondo la Suprema Corte “una volta intervenuto il fallimento, l’interruzione è sottratta all’ordinario regime dettato in materia dall’art. 300 c.p.c., nel senso, cioè, che la stessa è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto comunque a conoscenza dell’evento, ma non anche nel senso che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata o meno dichiarata (Sez. 6-1, n. 5288/2017).

Il che equivale a dire che la nuova formulazione della L. Fall., art. 43, comma 3, nel prevedere un effetto interruttivo automatico provocato dal fallimento sulla lite pendente, ha inteso sottrarre alla discrezionalità della parte colpita dall’evento interruttivo la rappresentazione dello stesso all’interno del processo.

Ciò nonostante il decorso dei termini previsti dall’art. 305 c.p.c., ai fini della declaratoria di estinzione presuppone, rispetto alla parte contrapposta a quella colpita dall’evento interruttivo, non solo la conoscenza in forma legale del medesimo evento, ma anche una situazione di quiescenza del processo, che si verifica per effetto della formale constatazione da parte del giudice istruttore dell’avvenuta interruzione automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta” (in questo senso Cass., 11 aprile 2018, n. 9016; nonché Cass., 1 marzo 2017 n. 5288; Cass., 27 febbraio, n. 4519; Cass, 9 aprile 2018, n. 8640).

 

  1. Considerazioni finali

La questione della individuazione del momento da cui far decorrere il termine per la riassunzione ex artt. 43 l.f. e 305 c.p.c. è stata da ultimo rimessa al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’assegnazione alle SS.UU.

In assenza di una chiara pronuncia delle Sezioni Unite, allo stato resta il variegato panorama giurisprudenziale come sopra delineato.

Va in ogni caso segnalato che il legislatore, probabilmente consapevole delle criticità sorte con la norma attuale, è già intervenuto nel codice della crisi e dell’insolvenza (che entrerà in vigore il 1° settembre 2021), il quale all’art. 148, 3° comma, prevede chiaramente che “l’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo. Il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice”, fugando così ogni dubbio ed aderendo di fatto alla tesi che salvaguarda la tutela dell’aspetto processuale.

A fronte di tale previsione, si ritiene che l’interpretazione giurisprudenziale non potrà che arricchirsi e recepire la recente e condivisibile ratio espressa dal legislatore, anche al fine di evitare che le diverse interpretazioni giurisprudenziali vadano a creare situazioni disomogenee e contrarie al dettato normativo che a breve verrà applicato.

 

Avv. Flavia Verduchi
MFLaw – Mannocchi & Fioretti
Studio Legale Associato

Sede di Roma

 

Il presente documento non costituisce un parere ed è stato redatto ai soli fini informativi dei clienti di M&F. È proprietà di M&F e non può essere divulgato a soggetti differenti dal destinatario, senza una preventiva autorizzazione scritta.

1. Sulla natura meramente dichiarativa del provvedimento del giudice che dà atto dell’avvenuta interruzione si veda ex pluribus: Cass. civ. Sez. III, 15-01-2013, n. 773; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 20-03-2008, n. 7443; Cass. civ. Sez. lavoro, 02-03-2004, n. 4249; Cass. civ. Sez. lavoro, 16-07-2003, n. 11162.
2. “Già prima dell’introduzione del citato terzo comma non si dubitava, sulla base del primo comma della stessa disposizione, che il fallimento determinasse la perdita di capacità processuale del fallito e dunque l’interruzione del processo del quale fosse parte l’imprenditore poi assoggettato al fallimento, ma si riteneva che l’effetto interruttivo in tanto si producesse, in quanto l’evento fosse dichiarato o notificato secondo la previsione dell’articolo 300 c.p.c.: si affermava, dunque, che l’inizio della procedura fallimentare non produce effetti interruttivi automatici sui processi in corso in cui il fallito sia parte, atteso che la perdita della capacità processuale a seguito di dichiarazione di fallimento non si sottrae alla disciplina di cui all’articolo 300 c.p.c., che prevede, a tal fine, la necessità della dichiarazione in giudizio o notificazione dell’evento (per l’unanime orientamento della giurisprudenza in tal senso v. p. es. Cass. 18 marzo 1989, n. 1368; Cass. 14 gennaio 1993, n. 398; Cass. 9 febbraio 1993, n. 1588; Cass. 20 giugno 2000, n. 8363; Cass. 22 giugno 2001, n. 8530; Cass. 6 luglio 2001, n. 9164; Cass. 10 maggio 2002, n. 6771)” (Cass. 15 marzo 2018, n. 6398).
3. In conformità alla decisione della Corte costituzionale (Corte cost. 21 gennaio 2010, n. 17) che, richiamando le proprie pertinenti pronunce sulla materia, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 305 c.p.c. nella parte in cui farebbe decorrere il termine per la riassunzione del processo ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita dalla data dell’interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di apertura di fallimento, e non dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo: nella pronuncia si evidenzia come sia da tempo acquisito il principio, accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui, nei casi di interruzione automatica del processo, il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l’evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima.
4. Orientamento esplicitato nel 2019 dalla Cassazione con sentenza n. 2658 del 30 gennaio 2019.

Studio Legale Mannocchi & Fioretti

Sede di Roma

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