Credit recovery and executive procedures
La fideiussone e la specifica normativa in materia di tutela del consumatore
1 – Introduzione.
Un tema di grande attualità che, sempre più spesso sta investendo e pone in netta asimmetria giudici nazionali di merito, riguarda l’applicabilità al contratto di fideiussione della disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti del consumatore.
La giurisprudenza italiana ha coniato e consolidato un orientamento ormai ventennale.
2 – L’orientamento nazionale e la canonica regola dell’accessorietà della fideiussione.
L’orientamento giurisprudenziale prevalente riconosceva da tempo (e forse ancora oggi si può dire riconosce) univocamente la possibilità di estendere la disciplina di tutela prevista dal codice del consumo esclusivamente alle ipotesi in cui la fideiussione acceda ad un contratto principale di cui sia parte un consumatore, con ciò mostrando di interessarsi, essenzialmente, al profilo soggettivo del debitore principale ed ignorando, almeno in prima battuta, il riferimento alla qualifica soggettiva del fideiussore.
La riflessione alla base di questa prospettiva ermeneutica si regge sulla caratteristica accessorietà della fideiussione e si estrinseca nel principio di attrazione della qualifica soggettiva del fideiussore in quella del debitore principale. Questa interpretazione, pur pronunciandosi sulla sussistenza del requisito soggettivo di applicazione della disciplina, sposta l’intera riflessione su un dato: quello del collegamento negoziale e del rapporto tra i due contratti, non attinente alle qualità dei soggetti involti nell’operazione.
L’accessorietà della fideiussione non consentirebbe di assumere una rilevanza giuridica autonoma ai fini dell’applicazione della disciplina di tutela.
La posizione non arriva ad escludere la ricorrenza del presupposto oggettivo di applicazione degli artt. 33 e ss del cod. cons., ma opera in modo indiretto, facendo scemare la rilevanza del contratto di fideiussione ed attraendo la tutela del fideiussore in quella del debitore principale, quasi fosse l’unico consumatore coinvolto nell’operazione negoziale complessiva[1].
3 – L’intervento della Corte di Giustizia Europea.
In questo panorama, il focus di analisi che si sta diffondendo nella prassi di alcuni Tribunali nazionali e mutuato dalla sentenza Corte di Giustizia Europea del 19/11/2015[2] (a cui si è conformata l’ordinanza della Corte giustizia UE sez. X 14/09/2016 n. 534) si sposta dal contratto principale (quello garantito) a quello di garanzia e nello specifico alle qualità soggettive dei garanti.
Si tratta di un orientamento, accennato a livello europeo, che solo di recente ha trovato radici nel nostro ordinamento, per il quale l’accertamento della competenza territoriale in un rapporto fideiussorio andrebbe valutata dal punto di vista del soggetto garante e in particolar modo alla qualità in cui questo ha agito (professionista o consumatore) riguardo al contratto di garanzia o di fideiussione in sé considerato.
Così ragionando si finirebbe, tuttavia, per smembrare l’istituto del contratto fideiussorio che, per definizione, è funzionalmente collegato al contratto principale: se viene meno questo o è nulla una qualsiasi clausola del medesimo anche la fideiussione ne viene travolta; ma soprattutto, e ancor più grave, verrebbe quasi ad essere codificato un principio che non ha trovato, almeno per ora, cittadinanza nel nostro ordinamento.
Ma perché se la fideiussione è un contratto accessorio per definizione, che presenta senz’altro, in riferimento al proprio oggetto, carattere ‘‘accessorio” rispetto al contratto principale, oggi dovrebbe essere guardata dal punto di vista delle parti contraenti? E soprattutto dello specifico contratto di garanzia e non a quello principale rispetto al quale esiste una fideiussione?
L’elemento dell’accessorietà, che agevolmente si desume da quanto disposto ex artt. 1932, 1939, 1941, 1945 c.c., pone uno stretto (ed inscindibile) legame tra l’obbligazione di garanzia propria del fideiussore e quella del debitore principale che, in quanto rapporto base da manlevare, ne costituisce il fondamento e la ragion d’essere.
4 – La giurisprudenza nazionale successiva alle pronunce della Corte di Giustizia Europea.
Sebbene non si possa negare l’intervento della Corte di Giustizia Europea (Corte giustizia UE sez. X 14/09/2016 n. 534) la giurisprudenza nazionale successiva ha continuato ad aderire alla tesi tradizionale del c.d. “professionista di rimbalzo” (V. Cass. Civ., Sez. 6, Ordinanza 5 dicembre 2016, n. 24846[3]; conf.: Tribunale Arezzo, 16 ottobre 2017, n. 1150) negando quindi che i fideiussori possano rivestire la qualità di consumatori.
In tali sentenze non vi è tuttavia nessun riferimento alle pronunce della Corte di Giustizia unitaria; anche a voler stimare tale difetto quale verosimile “deficit informativo della nostra Corte suprema[4]” l’impostazione giurisprudenziale tradizionale rimane quella che valorizza il principio di attrazione; per cui, affinché un contratto di fideiussione possa considerarsi soggetto alla normativa in materia di clausole vessatorie di cui all’art. 33 del codice del consumo: “(…) è necessario che il debitore principale sia consumatore, in quanto la qualità di questo attrae quella del fideiussore, in caso contrario quest’ultimo dovrà considerarsi professionista” (cfr. Cass. sent. n. 10107/2005).
La Corte di Legittimità, ancora con un’ordinanza emessa nell’ottobre 2018 (Cass. Civ., Sez. 3, Ordinanza 11 ottobre 2018, n. 25155, infra) ha confermato l’indirizzo secondo cui in presenza di un contratto di fideiussione, ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore, il requisito soggettivo che consenta tale forma di tutela deve riferirsi all’obbligazione garantita, cui quella del fideiussore è accessoria[5].
Corollario di tale deduzione è la necessità di ritenere valida la clausola derogativa della competenza territoriale, contenuta nel contratto di fideiussione, quando il debitore principale è un soggetto non qualificabile come consumatore ai sensi dell’art. 3 del Codice del Consumo.
5 – Il “nuovo” orientamento.
Ad incrinare l’esclusivo l’orientamento giurisprudenziale nazionale secondo cui, ai fini della applicazione della tutela consumeristica ad un contratto di fideiussione, si sarebbe dovuto fare riferimento al requisito soggettivo della obbligazione principale (i.e. obbligazione garantita) sono intervenute una serie di sentenze, con cui la Corte di Cassazione (Cass. 32225/2018; Cass. 25914/2019; Cass. 28162/2019), seguendo l’insegnamento del giudice europeo, ha stabilito che: “i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo – alla stregua della giurisprudenza comunitaria – all’entità della partecipazione al capitale sociale nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore”.
L’attuale orientamento non nega il rapporto di accessorietà tra il contratto principale e quello di garanzia, ma limita tale interdipendenza al contenuto delle obbligazioni assunte. Infatti, il rapporto subordinato di un contratto rispetto all’altro non può spingersi sino ad incidere sulla qualificazione di uno dei contraenti. In altre parole, l’accessorietà non può far diventare il fideiussore come il duplicato del debitore principale.
Da ultimo, nell’ordinanza della Suprema Corte (Cass. Civ. 16 gennaio 2020, n. 742), viene ribadita l’esclusione della rilevanza dell’attività svolta dal debitore principale per la qualificazione della posizione (di consumatore o meno) del fideiussore. “Di conseguenza, alla stregua dell’interpretazione che, nell’attuale, questa Corte dà della nozione generale di consumatore (cfr., da ultimo, Cass., 26 marzo 2019, n. 8419), tale dev’essere considerato il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo di questa, né strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio)”.
6 – Conclusioni.
Benché non vi sia ancora un intervento a Sezioni Unite e sebbene la figura del fideiussore, con specifico riguardo alla posizione concretamente rivestita da tale contraente in riferimento alla qualifica di consumatore incontra, nell’ordinamento italiano, un sostanziale disinteresse da parte del legislatore, la risposta oggi fornita dalla nostra giurisprudenza di legittimità non è più fedele all’impostazione del garante quale c.d. professionista di “riflesso” o di “rimbalzo”.
Il nuovo orientamento è in linea con le pronunce della Corte di giustizia, per cui nella valutazione della sua natura (o meno) di consumatore occorre accertare l’attività svolta, rispetto al contratto di fideiussione, dal garante.
Alla luce della più recente evoluzione giurisprudenziale – non ancora avallata dalle Sezioni Unite – sarebbe prudente e cautelativo, in ambito di contratti di garanzia personale e in cause con fideiussori, radicare la competenza territoriale secondo quanto previsto nel contratto di garanzia e “scegliere” il foro del consumatore ove risulti che la garanzia sia stata rilasciata per finalità non inerenti allo svolgimento di attività professionale del garante.
Avv. Eleonora Piccioni
MFLaw – Mannocchi & Fioretti
Studio Legale Associato
Sede di Roma
——