Credit recovery and executive procedures
La nullità della fideiussione omnibus per violazione della normativa antitrust
La recente ordinanza n. 29810 del 12.12.2017 della Corte di Cassazione ha aperto un fronte di particolare interesse in ordine al giudizio di validità dei contratti di fideiussione omnibus stipulati in conformità al modello ABI del 2003. Come è noto, difatti, il modello in questione è stato sottoposto al vaglio della Banca d’Italia che, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha sancito la contrarietà degli artt. 2, 6 e 81 (concernenti le clausole di sopravvivenza/reviviscenza, rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. e impermeabilità della garanzia agli eventuali vizi del contratto base), in esso contenuti, all’art. 2, comma 2, lett. a, l. n. 287 del 1990 (legge antitrust). La Banca d’Italia ha, pertanto, ingiunto all’ABI di trasmettere alle imprese aderenti un modello emendato da quegli articoli ritenuti lesivi del regime di concorrenza. Ovviamente, medio tempore le banche avevano fatto uso di quei modelli, sì che si poneva il problema della sorte dei contratti di fideiussione riproducenti il modello giudicato anticoncorrenziale, stipulati prima del provvedimento della Banca d’Italia.
In particolare, nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte con la suddetta pronuncia, un fideiussore, nei cui confronti una banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo, aveva richiesto alla Corte di Appello di Venezia la declaratoria di nullità del contratto di fideiussione, poiché pacificamente conforme allo schema ABI del 2003, sanzionato dalla Banca d’Italia perché lesivo della concorrenza, in conformità all’art. 2, comma 2, lett. a), l. 10 ottobre 1990, n. 287. La domanda, tuttavia, era stata rigettata dalla Corte d’Appello sull’assunto che il provvedimento n. 55 della Banca d’Italia non potrebbe applicarsi a contratti conclusi prima della sua emanazione, e ciò in quanto tale provvedimento – di carattere regolamentare – non potrebbe incidere sulla legittimità delle clausole, ma soltanto sulla loro contrarietà all’art. 2 della legge antitrust, che sancisce il divieto di “intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”, in conseguenza della loro applicazione uniforme. Di diverso avviso sono i Giudici di legittimità, i quali, nel rimettere la decisione ad altra sezione del Giudice di merito, hanno espresso il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (…) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.
La Suprema Corte, dunque, si è basata sul presupposto che la legge antitrust abbia come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato. Il legislatore ha infatti inteso proibire in via generale la distorsione della concorrenza, che può essere anche frutto di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”, anche successivi al negozio originario ma che realizzino un ostacolo al gioco della concorrenza. Pertanto, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge Antitrust. Sulla base di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione ha sostenuto che non si può escludere la nullità di quel contratto per il solo fatto della sua anteriorità all’indagine dell’Autorità indipendente ed alle sue risultanze, poiché se la violazione “a monte” è stata consumata anteriormente alla negoziazione “a valle”, l’illecito anticoncorrenziale consumatosi prima della stipula della fideiussione oggetto della controversia non può che travolgere il negozio concluso “a valle”, per la violazione dei principi e delle disposizioni regolative della materia. Tale provvedimento è stato richiamato da più parti per sostenere la nullità totale del contratto di garanzia perfezionato a favore della Banca. Invero, alcune ordinanze dei Giudici di merito hanno sospeso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo – o di una sentenza di primo grado – ponendo alla base di tale provvedimento l’esistenza di un orientamento nella giurisprudenza di merito che, sulla scorta dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29810 del 2017, ha ritenuto radicalmente nulla la fideiussione omnibus (e non già solo le singole clausole)(2).
Il Tribunale di Salerno, in particolare, con la sentenza n. 3016 del 23.8.2018, confermando le decisioni della Suprema Corte in punto di riflessi sul negozio “a valle” della nullità dell’intesa “a monte”, si è spinta a sostenere l’assoluta nullità della fideiussione omnibus. Secondo il Giudice di merito, infatti, non può essere applicata alla materia la disposizione di cui all’art. 1419 c.c. 2° comma, secondo cui “la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”, perché la tutela effettiva per il contraente debole sotto il profilo concorrenziale trova il suo fondamento nei principi generali comunitari e costituzionali, e in particolare nell’art. 41 della Costituzione, che contempera la libera iniziativa economica con il limite dell’utilità sociale, nel senso che la prima deve intendersi inscindibilmente connessa ai valori personalistici e solidaristici. La Corte d’Appello di Bari, inoltre, confermando la nullità assoluta delle lettere di fideiussione omnibus stipulate in conformità al modello ABI sanzionato ha, altresì, sancito che tale nullità è sempre rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado di giudizio, essendo tali contratti “caratterizzati da causa illecita, perché contraria a norme imperative”(3).
Altra parte della giurisprudenza di merito, d’altra parte, si è discostata fortemente dall’interpretazione della suddetta sentenza della Suprema Corte. Con la sentenza n. 1623 del 26.7.2018, il Tribunale di Treviso ha rigettato l’eccezione di nullità della fideiussione, sancendo, con puntuale analisi, l’assenza di un nesso di indissolubile dipendenza tra il contratto “a monte” – ed in particolare le clausole censurate – e i sottostanti contratti “a valle”. Orientamento, peraltro, ribadito dal Tribunale di Napoli, che, con sentenza n. 2338 dell’1.03.19, ha espressamente sostenuto che i contratti conclusi in aderenza agli schemi ABI non possono qualificarsi ex se illeciti, essendo necessario dimostrare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico. Il Tribunale di Verona, con ordinanza dell’1.10.2018, richiamando le argomentazioni svolte dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 2207/2005, ha affermato che l’unica tutela concessa al fideiussore (quale soggetto rimasto estraneo alla intesa anti-concorrenziale, che abbia stipulato il contratto che di quella intesa costituisce lo sbocco) è quella risarcitoria(4).
Secondo il Giudice di merito, una simile impostazione è confermata anche dal d. lgs. 3/2017 che, secondo quanto precisa l’art. 1, comma 1: “disciplina le azioni collettive di cui all’articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il diritto al risarcimento in favore di chiunque ha subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un’impresa o di un’associazione di imprese”: nessun accenno si rinviene, in tale testo normativo, ad una tutela reale del soggetto danneggiato dalla intesa restrittiva della concorrenza. Ne deriva, dunque, l’impossibilità per i singoli utenti bancari di avvalersi della sanzione di nullità prevista dalla norma antitrust posto che “i destinatari diretti delle norme antimonopolistiche sono solo gli imprenditori commerciali del settore di riferimento e non anche i singoli utenti”(5).
A ben vedere, gran parte della giurisprudenza ha circoscritto la portata interpretativa della pronuncia della Suprema Corte. I Giudici di merito hanno, innanzitutto, sostenuto che nella specifica materia vi è la competenza funzionale del Tribunale competente per territorio, presso cui è istituita la sezione specializzata in materia di impresa (6). L’art. 33, comma II, della l. 287/1990, infatti, prevede che le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti al Tribunale competente per territorio presso cui è istituita la sezione specializzata di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni. Nel merito, poi, è stata sancita la necessità di verificare che la Banca si sia effettivamente avvalsa delle clausole censurate, perché in caso negativo mancherebbe del tutto la materia del contendere (7). Inoltre, nelle ipotesi in cui la banca abbia utilizzato a proprio favore le clausole ritenute nulle, è pacifico che il fideiussore danneggiato debba dimostrare il danno effettivamente subìto, con un non facile onere della prova, che grava proprio su quest’ultimo (8). Nel dettaglio, la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 5039/18 ha rimarcato in modo chiaro che non è sufficiente la mera conformità della fideiussione sottoscritta al modello ABI, poiché “in assenza di una indicazione da parte dell’attore …- sufficientemente plausibile di seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza, la domanda di nullità della fideiussione omnibus ex art. 1419/1 cc (e/o delle clausole, come già detto, di natura derogabile) non poteva essere accolta”.
Come dichiarato dal Tribunale di Roma con sentenza n. 23299 del 3.12.2018, invero, è sufficiente l’omessa produzione da parte dell’opponente tanto del provvedimento dell’Autorità di Vigilanza, quanto del parere dell’AGCM al quale detto provvedimento prestava adesione, per rigettare de plano la questione, trattandosi, per l’appunto, di provvedimenti ed atti amministrativi ovviamente sottratti al principio iura novit curia e non valutabili dal Giudice ove non tempestivamente prodotti (9).
In ogni caso, anche se il fideiussore riuscisse a dimostrare tale pregiudizio, la eccepita nullità colpirebbe solo le dette clausole, estendendosi, secondo quanto disposto dall’art. 1419, 1° comma, c.c., all’intero contratto solo laddove sia dimostrato che le parti non avrebbero concluso quel contratto senza quelle clausole (10). Sul punto va, peraltro, osservato che, essendo le tre clausole sfavorevoli al fideiussore e favorevoli alla banca, spetterebbe a quest’ultima dichiarare che senza le ulteriori clausole più garantistiche non avrebbe accettato l’impegno fideiussorio. Sembra, a tal proposito, innegabile che il garante avrebbe concluso ugualmente il contratto senza quelle clausole che, invero, lo penalizzano rispetto a sopravvenienze sfavorevoli o a fatti imputabili alla negligenza del creditore garantito. Parimenti, nell’economia complessiva dell’affare, per la banca è oggettivamente più conveniente rinunciare ai benefici di quelle clausole, piuttosto che all’ampliamento della garanzia patrimoniale generica su cui contare in caso inadempimento del debitore principale. Il dibattito sulla determinazione dell’estensione della nullità, quindi, risulta di attuale pregnanza. Di fatto, nel caso di specie, la Banca d’Italia ha considerato contrarie alla disciplina a tutela della concorrenza soltanto alcune clausole delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie e, dunque, sarebbe coerente con le finalità della disciplina antitrust limitarsi a depurare i contratti – stipulati dalle banche associate con i clienti finali – di tali clausole, “salvando” le altre clausole del contratto di fideiussione omnibus, il cui scopo è anche quello di facilitare la concessione di credito da parte delle banche. Laddove, tuttavia, l’orientamento dovesse propendere per una nullità di tipo assoluto, le conseguenze sarebbero di enorme (per non dire abnorme) rilevanza, a beneficio di fideiussori che si troverebbero liberati dal proprio obbligo di garanzia e avrebbero altresì titolo a richiedere il risarcimento del danno subìto nel caso di escussione già avviata, nei confronti degli istituti di credito, che rischierebbero di trovarsi privi delle garanzie accessorie al proprio credito, pur avendo concesso i relativi finanziamenti anche sulla base della prestazione delle stesse. È di tutta evidenza che un’interpretazione di questo tipo avrebbe gravi ripercussioni non tanto e non solo sui rapporti bancari ma sull’intero sistema economico del nostro paese.
Avv. Giulia Orfei
MFLaw – Studio Legale Mannocchi & Fioretti
Sede di Roma
Il presente documento non costituisce un parere ed è stato redatto ai soli fini informativi dei clienti di MFLaw, in conformità ai termini e alle condizioni del servizio.
(1) Secondo l’art. 2, il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo. Secondo l’art. 6, i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato. L’art. 8 dello schema ABI estende la garanzia anche agli obblighi di restituzione del debitore derivanti dall’eventuale invalidità del rapporto principale, disponendo che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
(2) Tribunale di Fermo, ordinanza del 24.9.2018; Tribunale di Roma, ordinanza del 26.7.2018; Corte di Appello di Firenze, ordinanza del 18.7.2018.
(3) In particolare, si legge nella detta sentenza: “Alla stregua della Legge Antitrust e del provvedimento della Banca d’Italia n.55 del 2 maggio 2005, devono ritenersi nulle le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie che, conformandosi pedissequamente allo schema di contratto predisposto dall’ABI contengono la sostanza delle seguenti clausole: «il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia e revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo»; «qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate»; «i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art.1957 c. c. che si intende derogato»” (Corte d’Appello di Bari, sentenza n. 526 del 21.03.2018).
(4) In tal senso anche Tribunale di Milano, sentenza n. 9708 del 27.09.2017.
(5) Tribunale di Napoli, sentenza n. 2338/19 cit.
(6) Tribunale di Rovigo, ordinanza del 19.6.2018.
(7) Tribunale di Rovigo, ordinanza del 09.9.2018.
(8) Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 5039 del 20.11.2018; Tribunale di Verona, ordinanza cit.
(9) Tribunale di Padova, sentenza del 29.01.2019. 10 Tribunale di Mantova, ordinanza del 16.01.2019; Corte di Appello di Napoli, sentenza n. 3045/2018 del 20.6.2018.