Crisi di impresa & Restructuring
Ammissione al passivo: estratti conto sufficienti a fornire la prova del credito della banca.
Nota all’ Ordinanza della Corte di Cassazione 12 settembre 2018, n. 22208
- Premessa normativa.
Ai sensi dell’art. 93 LF, i creditori di un’azienda fallita, al fine di far valere il proprio diritto nell’ambito della procedura concorsuale, devono formulare una “domanda d’insinuazione al passivo” del fallimento.
Tale domanda sarà valutata dal Tribunale nella persona del Giudice Delegato, all’esito del parere rilasciato dalla curatela nel suo progetto di stato passivo.
L’insinuazione viene formulata tramite l’inoltro alla curatela fallimentare di una domanda contenente:
– l’espressa richiesta di ammissione al passivo (non servono formule particolari: l’importante è indicare la natura del credito, la causa del credito, gli importi dovuti, i documenti che fondano il credito, l’azienda fallita, l’azienda creditrice, il tribunale che cura la procedura fallimentare);
– i documenti che provano l’esistenza del credito.
- La prova dell’esistenza del credito in caso di contratti bancari: la validità degli estratti conto come prova del credito.
2.1 – La giurisprudenza contraria.
Laddove oggetto dell’istanza di ammissione al passivo sia un credito vantato da una banca in virtù di un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente, il creditore ha ovviamente l’onere di dare piena prova del suo diritto sulla base del disposto della norma generale di cui all’art. art. 2697 cod. civ..
Tale prova, secondo parte della giurisprudenza, viene fornita attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore (stante la sua posizione di terzo) gli effetti che, ai sensi dell’art. 1832 cod. civ., derivano, soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni (Cass. 9/5/2001 n. 6465, Cass. 26/1/2006 n. 1543). Tale principio trova fondamento nella posizione di terzietà assunta dal curatore. Ciò tuttavia non significa che in ambito di insinuazione al passivo l’estratto conto debba essere considerato in via generalizzata, come privo di qualsiasi valore probatorio.
Sul punto tale corrente giurisprudenziale ritiene che, ai fini dell’ammissione del credito al passivo, non sono opponibili al fallimento, e non devono pertanto essere ammessi, i crediti fondati su scritture private relative a negozi per i quali la legge prevede la forma scritta ad substantiam o ad probationem che non siano munite di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, a meno che la prova dell’anteriorità non venga aliunde acquisita (fattispecie relativa a contratti bancari).
Poiché per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari la legge prescrive, a pena di nullità, la forma scritta ad substantiam, non può essere ammesso al passivo il credito della banca fondato su rapporti i cui contratti non siano muniti di data certa anteriore al fallimento, essendo peraltro a tal fine insufficiente la produzione degli estratti conto in quanto formati dalla stessa banca, che non ha fornito la prova della comunicazione di essi al cliente e che siano privi di data certa.
In sede fallimentare, in particolare, la prova dello svolgimento dei rapporti bancari di durata e dell’entità dei relativi crediti a favore della banca, non può rinvenirsi soltanto negli estratti conto o nelle risultanze contabili interne alla banca, dovendo essere invece fornita la piena prova del credito mediante la documentazione relativa allo svolgimento del conto. (Tribunale Pescara, 18 Aprile 2008).
2.2 – La giurisprudenza favorevole.
Contrariamente a quanto sopra espresso, si è pronunciata ulteriore giurisprudenza che ha, invece, rilevato come non vi sia dubbio che “la allegazione che erano stati intrattenuti contratti di c/c e che gli stessi presentavano un precisato scoperto a carico del fallito risulta integrata con la documentazione degli estratti conto, i quali appunto danno conto dello svolgimenti dei rapporti”. (Tribunale di Bari, 2 aprile 2015 n. 1944)
Viene precisato, poi, come, anche a voler spogliare del tutto l’estratto conto del suo effetto negoziale di cui agli artt. 1832, 1857 c.c. e 119 TULB, allo stesso non si possa ragionevolmente negare la natura di specifica allegazione di fatti attinenti alla esecuzione del rapporto e tali da integrare l’effetto finale del saldo a debito.
Si aggiunge, inoltre, che la curatela potrebbe sottrarsi all’onere della contestazione di cui agli artt. 115 e 167 c.p.c. solo adducendo l’estraneità delle documentate operazioni alla propria sfera di conoscenza, ma tale asserzione sarebbe in contrasto con la fisiologia della curatela stessa, di regola in possesso dell’intera documentazione contabile relativa ai rapporti intrattenuti dal fallito.
Ne consegue che, “se dunque può essere ragionevole non coinvolgere la curatela negli effetti di presunzione di veridicità che deriva dal meccanismo negoziale sostanziale di cui all’art. 1832 c.c., essa, in quanto parte del processo, non può essere ritenuta esonerata dai doveri di cui sopra (artt. 115 e 167 c.p.c.). Diversamente argomentando, si avrebbe l’attribuzione di una situazione di vantaggio per il fallimento e di pregiudizio per il creditore, che non trova alcuna giustificazione razionale”.
In altri termini il Tribunale di Bari, con il provvedimento in esame, ha sostanzialmente affermato il principio secondo cui il credito della Banca per uno scoperto di conto corrente può essere ammesso al passivo, atteso che, in mancanza di specifica contestazione del curatore circa il rapporto di c/c, gli estratti conto, pur non producendo nei confronti del curatore l’effetto negoziale di cui agli artt. 1832, 1857 c.c. e 119 TULB, hanno la natura di specifica allegazione di fatti attinenti l’esistenza o e lo svolgimenti dei rapporti tali da integrare l’effetto finale del saldo a debito (sul punto, recente, cfr. anche Tribunale di Roma, Sez. Fall., Rel. Dott.ssa Coluccio, Ordinanza 27 febbraio 2019, n. 943).
- L’intervento della Corte di Cassazione (Ordinanza 12 settembre 2018, n. 22208).
A seguito del suddetto contrasto giurisprudenziale, con l’Ordinanza n. 22208 del 12 settembre 2018, la Cassazione è intervenuta a fare chiarezza in tema di onere della prova gravante in capo alla banca che richieda l’ammissione al passivo del proprio credito derivante da un saldo di conto corrente.
La Suprema Corte, con la suddetta pronuncia, ha ritenuto che la banca, a prescindere dagli estratti inviati al fallito ed eventualmente approvati prima dell’apertura del concorso, è tenuta a dare conto dell’esistenza e dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto nella loro completa consistenza.
A fronte di questa produzione, non si può trascurare di considerare che sul curatore incombe il dovere di procedere a una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua al passivo e dunque di controllo delle emergenze dell’estratto conto secondo le risultanze in suo possesso. Ed è proprio la pregnanza di questo obbligo di verificazione che consente il parallelismo con il procedimento di rendimento del conto e la valorizzazione dell’estratto conto integrale prodotto, così analizzato, quale prova.
A seguito del suddetto obbligo di verificazione da parte del curatore, farà seguito un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro. In presenza di siffatte confutazioni da parte del curatore l’istituto di credito avrà l’onere, ex art. 95, comma 2, legge fallimentare o, quanto meno, in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l’effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione.
Per contro, ove il curatore, costituendosi o meno in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all’evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il Tribunale non potrà che prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all’interno dell’estratto conto integrale depositato, né potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d’ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa.
I suddetti principi sono stati confermati dalla S.C. anche con analoghi provvedimenti, di identico tenore (cfr. Cass. Civ., Ordinanza 3 dicembre 2018, n. 31195; Sentenze 16 aprile 2018, n. 9365 e 12 aprile 2018, n. 9074).
- Conclusioni.
Alla luce delle considerazioni sopra espresse, dunque, in definitiva, la Suprema Corte ha ritenuto che, in tema di ammissione al passivo fallimentare, nell’insinuare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha, a sua volta, l’onere ulteriore di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito avuto riguardo alle contestazioni in parola; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio. (Cassazione civile, sez. I, 12 Settembre 2018, n. 22208).
Avv. Deborah Moscati
Studio Legale Mannocchi & Fioretti
Sede di Roma
Il presente documento non costituisce un parere ed è stato redatto ai soli fini informativi dei clienti di MFLaw, in conformità ai termini e alle condizioni del servizio.