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SULLA NATURA TRANSATTIVA DEL PIANO DI RIENTRO CONTENENTE RICOGNIZIONE DI DEBITO E RINUNCIA ALL’AZIONE. SULLA RILEVABILITÀ D’UFFICIO DELL’ECCEZIONE DI RINUNCIA ALL’AZIONE. Commento alla Sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 250/2024 del 06.02.2024

IL CASO

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 06.02.2024 fornisce lo spunto per approfondire la dibattuta tematica relativa agli effetti processuali dell’atto di rimodulazione e rientro stipulato tra l’Istituto di credito ed il proprio correntista.

La Corte territoriale di Venezia, nel caso che ci occupa, ha riformato la sentenza n. 1540/2021 emessa dal Tribunale di Padova in data 26.07.2021 a conclusione di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato dal correntista nei confronti della banca.

Il giudice di primo grado aveva accolto l’opposizione e, per quel che rileva in questa sede, aveva sancito la tardività, in quanto sollevata solo in comparsa conclusionale, dell’eccezione con la quale la banca aveva dedotto la natura transattiva del piano di rientro sottoscritto dal cliente; ancora, aveva ritenuto che il riconoscimento del debito non precludesse al correntista opponente di far valere le eccepite nullità per interessi ultra-legali, usurari e anatocistici, commissioni e spese non pattuite.

A fondamento della propria decisione, il Tribunale aveva richiamato la nota pronuncia della Cassazione, n. 19742/2014, in base alla quale “in tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca e il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti”.

La Corte d’Appello di Venezia, in riforma della suddetta statuizione, ha così motivato: “[…]”vertendosi di un atto nel quale risulta inserita, non solo una dichiarazione di valore e portata ricognitiva, a norma dell’art. 2720 c.c., ma altresì una specifica manifestazione di volontà di contenuto dispositivo-abdicativo del diritto in contesa, ne consegue l’improponibilità di tutte le domande ed eccezioni alle quali l’attore ha espressamente rinunciato, con l’unica eccezione di quelle attinenti agli addebiti da ritenersi illeciti, non potendo attribuirsi rilevanza ostativa alla (erroneamente ritenuta) tardività dell’eccezione”[1].

SULL’ATTO DI RIMODULAZIONE E RIENTRO IN GENERALE

Come anticipato, con la sentenza n. 250 del 06.02.2024, la Corte d’Appello di Venezia si è pronunciata sulla natura giuridica del piano di rientro concordato tra la banca ed il correntista.

Come spesso accade, infatti, in presenza di un inadempimento o difficoltà del cliente, la banca, nel concedere una dilazione, fa sottoscrivere un atto che contiene il riconoscimento del debito pregresso.

La questione assume particolare rilievo per le ricadute pratiche che un tale accordo può avere in ambito processuale, in particolar modo in relazione agli effetti preclusivi rispetto alla successiva proposizione di una domanda giudiziale di ripetizione dell’indebito, previa declaratoria della nullità di clausole contrattuali.

Prima di procedere al commento della pronuncia della Corte d’Appello di Venezia, appare opportuno delineare le caratteristiche che un siffatto piano può assumere, così da addivenire ad una corretta qualificazione giuridica dello stesso, con conseguente corretta valutazione dei relativi effetti processuali.

Contenuto indefettibile del piano di rientro è rappresentato dalla modificazione delle modalità di adempimento dell’obbligazione originaria, la quale dovrà essere soddisfatta dal debitore secondo il nuovo accordo intervenuto tra le parti, nella maggior parte dei casi mediante una dilazione di pagamento.

A tale contenuto indefettibile, relativo alle tempistiche dell’adempimento, possono aggiungersi contenuti ulteriori, come, ad esempio, una ricognizione di debito.

Il piano di rientro può, inoltre, assumere effetti transattivi, allorquando la dilazione del pagamento costituisca una delle “concessioni” della parte che conclude la transazione, finalizzata al superamento della res litigiosa.

Appare dunque evidente come in tal caso, l’azione giudiziale di ripetizione dell’indebito ne risulterebbe preclusa[2].

Infine, il piano di rientro può avere effetti novativi, quando il nuovo assetto di interessi configurato tra le parti risulti incompatibile con la sopravvivenza del rapporto pregresso[3].

L’OPINIONE DELLA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA

Come già anticipato, la sentenza in commento ha riconosciuto la natura transattiva del piano di rientro sottoscritto tra la banca e il cliente, dando rilievo ad una serie di elementi, così enucleati:

“[…]” Si tratta di un atto:

– certamente proveniente dal correntista opponente (che non ha invero disconosciuto la propria sottoscrizione in calce);

– in relazione alla cui validità ed efficacia non risultano riproposte, e quindi ulteriormente coltivate, le eccezioni di “inesistenza, nullità, annullabilità, e/o comunque di inefficacia di qualsivoglia riconoscimento di debito per tutti i motivi dedotti in narrativa” che erano state formulate in primo grado in via subordinata (donde l’incontrovertibile validità ed efficacia dell’atto) e sulle quali il giudice non ha statuito …;

– che contiene una chiara, e non altrimenti interpretabile, rinuncia ad intraprendere azioni, ovvero a svolgere eccezioni, fondate sull’invalidità degli interessi e delle commissioni convenute nei contratti di conto corrente sin dall’origine del rapporto.

Dunque, il ragionamento logico giuridico alla base della pronuncia in esame, partendo dall’interpretazione del contenuto specifico del piano di rientro, ha condotto alla qualificazione dello stesso come avente natura ed efficacia transattiva, ravvisandovi la Corte oltre ad un contenuto ricognitivo del debito, anche carattere appunto transattivo, consistente nella sussistenza di una precisa manifestazione di volontà dispositiva avente ad oggetto il diritto controverso[4].

La logica conseguenza derivante da tale natura transattiva è rappresentata dall’improponibilità di tutte le domande ed eccezioni alle quali il correntista ha espressamente rinunciato, salva la sola ipotesi di usura.

SULLA RILEVABILITÁ D’UFFICIO DELL’ECCEZIONE

L’aspetto forse più interessante della pronuncia in commento riguarda la rilevabilità d’ufficio, da parte del giudice, della allegazione di un fatto impeditivo[5] formulata dalla banca nella comparsa conclusionale di primo grado e in relazione alla quale si è regolarmente svolto il contraddittorio, avendovi l’opponente preso posizione nella successiva memoria di replica ex art. 190 c.p.c.

Escludere la rilevabilità d’ufficio, sostiene la Corte d’Appello di Venezia, determinerebbe una “pericolosa divaricazione, non solo tra diritto e processo, ma tra realtà accertata e contenuto dell’accertamento giudiziale. In simili ipotesi, la pretesa “allegazione tardiva” dell’eccezione, intervenuta dopo la chiusura della fase di trattazione, si risolve in una mera sollecitazione all’esercizio del potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio le eccezioni in senso lato (che, si ricorda, non richiedono un’apposita istanza di parte diretta alla rilevazione dei loro effetti giuridici) fondate su fatti già ritualmente acquisiti al processo: da qui l’ammissibilità del rilievo d’ufficio a prescindere dall’allegazione di parte, tempestiva o tardiva che essa sia, purché il fatto che fonda l’eccezione in senso lato risulti ex actis [grassetto n.d.r.]. La facoltà delle parti di esercitare le attività assertive ed istruttorie rese necessarie dal rilievo officioso del giudice, espressamente riconosciuta dalla giurisprudenza in simili ipotesi, ovvero, comunque, l’esplicitarsi dell’attività difensiva in ordine ai fatti costitutivi dell’eccezione (com’è avvenuto nel caso di specie) esclude in ogni caso l’esistenza di qualsiasi “vulnus” al principio del contraddittorio.

In definitiva, il giudice non poteva esimersi dal procedere all’esame dell’atto e, nello specifico, dell’eccezione di rinuncia alla proposizione di tutte le possibili contestazioni attinenti alle modalità di tenuta del conto, ma avrebbe dovuto prendere atto dell’esistenza della dichiarazione, valutarne la validità e l’efficacia, e una volta ritenuto che l’atto non presentava profili di invalidità, né risultava essere stato risolto … avrebbe dovuto trarne le dovute conseguenze in punto di improponibilità delle contestazioni afferenti la nullità di singole clausole (per interessi passivi ultra-legali, c.m.s. e capitalizzazione trimestrale degli interessi, giorni valuta, ius variandi), disponendo l’accertamento contabile solo in relazione alla eventuale pattuizione e conseguente applicazione di interessi usurari, solo questi potendo ritenersi frutto di una convenzione illecita e non già solo viziata di nullità per contrarietà a norma imperativa”.

CONCLUSIONI

Alla luce delle considerazioni sopra effettuate, secondo la sentenza in commento, il carattere transattivo di un piano di rientro sottoscritto tra la banca e il cliente – e tale può dirsi l’atto di rimodulazione contenente non solo una ricognizione del debito ma una specifica volontà dispositiva del diritto oggetto di contesa con reciproche concessioni – determina, quale effetto processuale, l’improponibilità di tutte le domande ed eccezioni alle quali il cliente ha espressamente rinunciato, traducendosi in una vera e propria rinuncia all’azione, con la sola eccezione dell’usura.

Ancora, la suddetta rinuncia costituisce un’eccezione che il giudice può rilevare d’ufficio, anche solo sulla base delle produzioni delle parti.

Avv. Valeria Corbo

Associate

MFLaw Milano

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[1] La decisione in commento conferma il filone interpretativo della Corte d’Appello di Venezia, che in un passato recente[1] aveva affermato che “il piano di rientro fra istituto di credito e correntista è qualificabile quale transazione, qualora tale piano preveda reciproche concessioni volte a prevenire una lite non ancora instaurata. Nel caso di specie, il correntista si era impegnato a rimborsare ratealmente il debito generato dallo scoperto di conto corrente, rinunciando a ogni contestazione sugli addebiti che avevano generato tale saldo negativo, e la banca aveva accettato il pagamento rateale, rinunciando – a sua volta – al contenzioso recuperatorio dell’intero saldo.

[2] Cfr. P. Lisi, Anatocismo, usura e altre problematiche, pp. 80-83.

[3] Perchè possa configurarsi una novazione è necessaria la sussistenza di un mutamento dell’oggetto o del titolo dell’obbligazione, che non è configurabile in presenza di modifiche solo accessorie (art. 1231 c.c.), quali ad esempio, il differimento appunto del termine di adempimento. Deve inoltre potersi ravvisare una manifestazione inequivoca della volontà novativa, oltre ad un comune interesse delle parti a dar luogo all’effetto novativo in questione.

[4] Nello specifico, il piano di rientro, prodotto dalla banca sin dal ricorso monitorio e poi nuovamente allegato alla comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione, presentava il seguente contenuto, così come riportato dalla pronuncia in commento: «il sig. [omissis] dopo aver dato atto in premessa “che la nostra esposizione ammonta a euro 36.296,89 per esposizione conto corrente, oltre interessi ed accessori dall’1.4.2013, per una esposizione complessiva nei vostri confronti di euro 36.296,89 oltre ad interessi ed accessori come sopra indicati, importo da intendersi certo, liquido ed esigibile, per il quale ci riconosciamo ad ogni effetto debitori nei vostri confronti, ogni eccezione e riserva rimossa”, ha formalmente dichiarato: “che con la sottoscrizione della presente rinunciamo all’esercizio di qualsiasi eccezione e/o contestazione, anche in sede giudiziale, relativa alla tenuta dei rapporti in oggetto, con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle metodologie di liquidazione e computo degli interessi applicate dalla banca a far data dalla accensione dei rapporti».

[5] I.e. la sussistenza di un piano di rientro contenente una rinuncia all’azione.

 

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