Crisi di impresa & Restructuring

Una significativa e importante novità introdotta dal CCII nella disciplina delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: la possibilità del creditore di chiedere la liquidazione del patrimonio del debitore “non fallibile”

Preliminarmente, appare utile un inquadramento dell’attuale situazione normativa delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Tali procedure, introdotte dalla legge n. 3/2012, sono ora state accorpate nel Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (CCII), ma non senza aver prima subito un’evoluzione e delle integrazioni significative. In ogni caso, ai sensi dell’art. 390 CCII, le procedure introdotte prima del 15 luglio 2022 continueranno ad essere regolate dalla L. n. 3/2012, mentre quelle introdotte dopo il 15 luglio 2022 saranno disciplinate dal CCII.

Da un punto di vista meramente lessicale, inoltre, va ricordato che vi è stato un cambiamento dei nomi di tutti gli istituti del sovraindebitamento: il piano del consumatore è diventato la ristrutturazione dei debiti del consumatore, l’accordo di composizione della crisi è diventato il concordato minore e la liquidazione del patrimonio è ora la liquidazione controllata.

In questo contesto, sempre a livello di inquadramento generale, va infine ricordato come i procedimenti relativi al sovraindebitamento abbiano oggi natura prettamente concorsuale. In origine, difatti, la L. n. 3/2012 contemplava in realtà solo opzioni ristrutturatorie aventi natura più marcatamente negoziale: l’efficacia dello strumento era, infatti, circoscritta ai soli creditori aderenti. Il legislatore poi, già con D.L. n. 179/2012 (cd. Decreto Sviluppo-Bis), ha mutato la natura degli accordi ristrutturatori, trasformandoli da strumenti contrattuali a strumenti concorsuali. Tale decreto, inoltre, ha introdotto nell’ordinamento concorsuale la liquidazione del patrimonio del soggetto sovraindebitato.

L’attuale liquidazione controllata ha, pertanto, natura essenzialmente concorsuale, essendo assimilabile ad una liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento), riservata al soggetto “non fallibile”.

Nella stessa Relazione illustrativa al CCII può, al riguardo, testualmente leggersi: “La liquidazione controllata è il procedimento, equivalente alla liquidazione giudiziale, finalizzato alla liquidazione del patrimonio del consumatore, del professionista, dell’imprenditore agricolo, dell’imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza”, con la precisazione che “Considerato che la liquidazione concerne patrimoni tendenzialmente di limitato valore e situazioni economico finanziarie connotate da limitata complessità, la procedura è semplificata rispetto alla liquidazione giudiziale”(pag. 205 Relazione illustrativa al CCII).

Fatte queste doverose premesse, va evidenziato che una delle novità più significative introdotte dal CCII è la possibilità, per i creditori, di presentare innanzi al Tribunale competente l’istanza per la liquidazione del patrimonio del proprio debitore “non fallibile”, che versi in stato di insolvenza.

La norma costituisce, evidentemente, una chiara applicazione del principio del favor creditoris e, comunque, della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c.

Il 2° comma dell’art. 268 CCII, infatti, dispone testualmente: “Quando il debitore è in stato di insolvenza, la domanda può essere presentata da un creditore anche in pendenza di procedure esecutive individuali. (…)”, con la precisazione che “(…) non si fa luogo all’apertura della liquidazione controllata se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è inferiore a euro cinquantamila”.

Un primo ordine di considerazioni può quindi svolgersi riguardo ai requisiti necessari richiesti dalla norma.

Ai fini dell’accoglimento dell’istanza di liquidazione del patrimonio ad opera del creditore, difatti, devono ricorrere preliminarmente le seguenti due condizioni:

1. lo stato di insolvenza del debitore e, quindi, secondo la definizione all’uopo fornita dall’art. 2 CCII, “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”;

2. un ammontare di debiti scaduti e non pagati uguale o superiore ad € 50.000. Quanto a quest’ultimo, sarà il debitore – assoggettato alla procedura avviata con l’istanza di liquidazione controllata da parte del creditore – a dover eventualmente dimostrare di non avere debiti scaduti e non pagati per un ammontare uguale o superiore ad € 50.000.

La definizione di insolvenza, invece, è la stessa del vecchio art. 5 l. fall., a sua volta rimasto invariato dal 1942 ad oggi. Si può quindi ritenere che l’interpretazione si muoverà nell’ampio solco giurisprudenziale formatosi nel vigore della legge fallimentare, ma con le dovute differenze rispetto ad un soggetto che non è imprenditore commerciale sopra soglia. In altre parole, quelli che costituivano indizi tipici per l’insolvenza dell’imprenditore commerciale, quali ad esempio l’irreperibilità presso la sede o gli indici di bilancio negativi, saranno più difficilmente applicabili alla categoria dei soggetti “non fallibili”. In ogni caso, per costante prassi giurisprudenziale, anche il semplice inadempimento, se pur non sufficiente a configurare l’insolvenza, deve essere comunque giustificato dal debitore che, soprattutto, deve dimostrare la sua capacità di farvi fronte regolarmente, dimostrando altrimenti il suo stato di insolvenza.

Ulteriori dubbi sono sorti, invece, circa la parte della norma (art. 268, 2° comma, CCII) che prevede che il creditore possa presentare domanda di liquidazione controllata “anche in pendenza di procedure esecutive individuali”.

Secondo alcuna dottrina, difatti, la locuzione sembrerebbe suggerire che la domanda del terzo sia ammissibile solo allorquando pendano esecuzioni individuali, inserendo così un ulteriore requisito all’iniziativa del creditore. In tal senso deporrebbe altresì la Relazione illustrativa al CCII, in cui si legge: “La legittimazione a richiedere l’apertura della liquidazione controllata appartiene in primo luogo al debitore.

Possono richiederla anche i creditori, ma solo se a carico del debitore pendono procedure esecutive individuali, ritenute chiaro indizio di crisi o insolvenza”.

Tuttavia, altre interpretazioni escludono una simile lettura, considerando che in sede di audizioni informali alla Camera dei Deputati è stato spiegato che la congiunzione “anche” sarebbe solo un’eredità della legge delega (art. 9, 1° comma, lett. h, Legge n. 155/2017) che semplicemente vuole tranquillizzare l’interprete della circostanza che la pendenza di un’esecuzione individuale non escluda il ricorso alla liquidazione controllata.

D’altronde il legislatore della riforma ha voluto aprire ai creditori la legittimazione attiva con l’obiettivo di estendere i benefici del concorso a tutti quei creditori frenati nella tutela dei propri diritti dagli elevati costi da anticipare nelle espropriazioni immobiliari individuali.

Pur apparendo chiaramente questa la ratio, è stato ulteriormente osservato come la procedura concorsuale richiesta dai terzi si possa rivelare sproporzionata rispetto all’ammontare del credito, sia per i costi connessi sia per le conseguenze in capo al debitore, con conseguente possibile utilizzo abusivo dell’istituto da parte dei creditori, che potrebbero fare leva sul rischio di spossessamento del debitore conseguente all’apertura della liquidazione controllata per ottenere un pronto realizzo del credito, anche in assenza di un titolo esecutivo, a fronte della rinuncia al ricorso. Sotto tale aspetto, quindi, sarebbe preferibile interpretare l’art. 268, secondo comma CCII, nel senso di consentire la legittimazione attiva ai terzi creditori solo se (e non anche) vi siano procedure esecutive pendenti.

Tuttavia, tale osservazione risulta analoga a quanto sempre avvenuto nella prassi delle istanze di fallimento, rispetto alle quali non risulta esser mai stato sollevato un tema di abuso del diritto, dovendo ricordare che l’esecuzione concorsuale è comunque un mezzo non solo legittimo ma volto a garantire la parità di trattamento di tutti i creditori. Va comunque ricordata la prassi di molti Tribunali, che di fatto richiedevano, prima di poter depositare istanza di fallimento del debitore, almeno un tentativo di esecuzione infruttuoso.

Sotto altro aspetto, inoltre, va ricordato che qualora non vi sia un’esecuzione individuale pendente, si potrebbe presumere che non vi siano beni aggredibili da liquidare; tuttavia, il debitore potrebbe avere comunque interesse all’apertura della liquidazione controllata, pur in assenza di beni, per poter accedere alla esdebitazione del debitore incapiente.

Venendo alla fase prettamente processuale, legittimato passivo è qualsiasi soggetto sottoponibile alla procedura di liquidazione controllata ex artt. 268 e ss. CCII e, quindi, qualsiasi soggetto ritenuto non assoggettabile alla procedura “maggiore” di liquidazione giudiziale, sia esso consumatore, professionista, piccolo imprenditore, costituito in forma societaria o quale ditta individuale, esercente attività agricola o commerciale, ente privato o associazione, ad eccezione degli enti pubblici (art. 1 CCII).

Stante l’unitarietà, sotto il profilo processuale, delle norme che disciplinano l’accesso agli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza, il procedimento relativo alla liquidazione controllata è quello di cui al Titolo III del CCII.

La domanda, pertanto, dovrà essere presentata con ricorso (art. 40 CCII) innanzi al Tribunale “nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali” (art. 27, 2° comma, CCII).

In ogni caso, va ricordato che la domanda del creditore non può trovar seguito ove il debitore sia una persona fisica e l’OCC attesti che non vi è possibilità di acquisire alla procedura alcun attivo patrimoniale da distribuire ai creditori, neanche attraverso l’esercizio di azioni giudiziarie. Si giunge così, almeno, ad una conclusione giudiziale che attesta l’irrecuperabilità del credito.

Inoltre, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 271 CCII, “Se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori (…) e il debitore chiede l’accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda” (1° comma).

Il 2° comma prevede che “Nella pendenza del termine di cui al comma 1, non può essere dichiarata aperta la liquidazione controllata e la relativa domanda è dichiarata improcedibile quando sia aperta una procedura ai sensi del capo III (rectius, capo II, ndr) del titolo IV. Alla scadenza del termine di cui al comma 1, senza che il debitore abbia integrato la domanda, ovvero in ogni caso di mancata apertura o cessazione delle procedure di cui al capo III del titolo IV, il giudice provvede ai sensi dell’articolo 270, commi 1 e 2. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli da 51 a 55” (2° comma).

In pratica, in pendenza del procedimento volto all’apertura della liquidazione controllata, l’art. 271 CCII concede al debitore la facoltà di ottenere la sospensione della procedura di liquidazione, laddove presenti domanda di accesso al concordato minore o alla ristrutturazione dei debiti del consumatore. Anche in questo caso, pertanto, l’iniziativa del creditore assume indubbiamente l’importante funzione di stimolare il debitore al raggiungimento di una soluzione.

Alla luce di quanto sopra esposto, appare evidente come il CCII abbia voluto dotare il creditore di uno strumento di pressione nei confronti del debitore inadempiente, che sia anche insolvente, di rilevante incisività, trattandosi di una procedura concorsuale assimilabile per moltissimi aspetti alla liquidazione giudiziale, azionabile peraltro senza la necessità che il creditore sia munito di titolo esecutivo, ed anche per debiti non particolarmente rilevanti.

Laddove si ponga mente al fatto che, sino ad oggi, il debitore poteva essere assoggettato unicamente a procedure esecutive che avessero ad oggetto beni specifici e ben individuati del suo patrimonio da parte di determinati creditori, ben si comprende la portata innovativa e significativa dello strumento giuridico in esame.

I dubbi interpretativi esposti al momento non hanno ancora avuto una chiara risposta giurisprudenziale, attesa la novità delle norme. In ogni caso si ritiene opportuno cominciare a procedere con istanze di liquidazione controllata per stimolare e verificare le reazioni e proposte dei debitori e gli orientamenti giurisprudenziali che si formeranno, ricordando che la possibilità per i creditori di richiedere la liquidazione del patrimonio del proprio debitore deve certamente salutarsi come un traguardo per il creditore, forse insperato sino a qualche tempo fa.

 

 

Avv. Andrea D’Ambrosio

Senior Partner

MFLaw Roma

 

Avv. Flaminia Mazzoni

Associate

Dipartimento Concorsuale e Restructuring

MFLaw Roma

 

Il presente documento non costituisce un parere ed è stato redatto ai soli fini informativi dei clienti di MFLaw e dei lettori del Magazine di MFLaw. È proprietà di MFLaw e non può essere divulgato a soggetti differenti dal destinatario, senza una preventiva autorizzazione scritta.

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