Recupero crediti e procedure esecutive

Il decreto ingiuntivo emesso nei confronti dei soci di una società di persone acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti del socio che non abbia proposto tempestiva opposizione

Commento alla sentenza della Cassazione del 27 settembre 2022 n. 36942

1. Premessa.

1.1. Con la sentenza n. 36942 del 27 settembre 2022, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sulle conseguenze derivanti dalla mancata opposizione al decreto ingiuntivo – emesso nei confronti dei soci di una società di persone – da parte di uno dei soci obbligati in solido.

In particolare, i Giudici di legittimità, con la pronuncia in esame, hanno chiarito che gli effetti dell’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da uno dei soci di una società in nome collettivo, non si estendono nei confronti degli altri coobbligati ingiunti che non abbiano proposto tempestivamente l’impugnazione, con la conseguenza che il coobbligato non opponente non potrà giovarsi del giudicato favorevole formatosi nei confronti del condebitore che abbia, invece, proposto l’opposizione.

Ma facciamo un passo indietro. L’INPS richiedeva ed otteneva dal Tribunale di Novara un decreto ingiuntivo nei confronti di due soci di una società in nome collettivo – precedentemente dichiarata fallita – per il rimborso dell’importo corrispondente al trattamento di fine rapporto che il Fondo di garanzia gestito dall’INPS aveva anticipato a tre dipendenti della società.

Contro il decreto ingiuntivo emesso, solo uno dei soci ingiunti proponeva opposizione, chiedendo l’autorizzazione a chiamare in causa l’altro socio allo scopo di esercitare l’azione di regresso in caso di accoglimento delle pretese dell’INPS ed eccependo, ai sensi dell’art. 2949 c.c., l’intervenuta prescrizione quinquennale della pretesa creditoria avanzata dall’Istituto in quanto azionata a distanza di oltre cinque anni dalla chiusura del fallimento.

Il Tribunale di Novara, dopo aver autorizzato la chiamata in causa dell’altro socio, rimasto contumace, rigettava integralmente l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto.

Di diverso avviso, invece, la Corte di Appello di Torino, la quale accoglieva l’eccezione di prescrizione del credito formulata dall’originario socio opponente (in precedenza spiegata, per mero lapsus calami, ai sensi dell’art. 2949 c.c. in luogo dell’art. 2948 c.c.) e, in riforma della decisione di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo nei confronti di tutti i soci ingiunti.

Più nel dettaglio, i giudici della Corte territoriale, in applicazione dell’art. 1310 c.c., ritenevano che “in materia di obbligazioni solidali gli effetti delle vicende che riguardano uno dei rapporti obbligatori dal lato debitorio si estendono agli altri rapporti debitori solo se favorevoli”, con l’effetto che il “beneficio” derivante dalla revoca del decreto ingiuntivo si deve estendere anche all’altro socio coobbligato non opponente, quand’anche sia rimasto contumace sia in primo che in secondo grado.

Avverso la sentenza di secondo grado, l’INPS ricorreva per Cassazione deducendo, con un unico motivo, la violazione degli artt. 645 e 647 c.p.c. e dell’art. 1310 c.c., con riferimento all’art. 2, comma 7, della Legge 29 maggio 1982 n. 297, ritenendo errata la decisione dei giudici della Corte di Appello e basando le proprie eccezioni su un principio di diritto già espresso dai giudici di legittimità nel 2016 (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 26 luglio 2016, n. 15376) per cui l’accoglimento della opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla società o da un socio non può scalfire l’autorità di giudicato sostanziale che il decreto ingiuntivo acquista nei confronti del socio che non abbia proposto una tempestiva opposizione.

La Suprema Corte, ritenendo fondato il ricorso, sanciva il seguente principio di diritto: «Il decreto ingiuntivo, emesso nei confronti dei soci di una società di persone, obbligati in solido, acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti del debitore che non abbia proposto tempestiva opposizione e tale autorità non viene meno per effetto dell’accoglimento dell’opposizione proposta da un altro coobbligato. La facoltà attribuita dall’art. 1306, secondo comma, cod. civ. presuppone un’espressa dichiarazione dell’altro condebitore, estraneo al giudizio, di avvalersi degli effetti favorevoli della sentenza intervenuta tra il creditore e uno dei debitori in solido e non può giovare al condebitore vincolato da un giudicato che si sia formato direttamente nei suoi riguardi, in virtù della mancata opposizione contro il decreto ingiuntivo».

2. La questio iuris sollevata ed il quadro normativo di riferimento.

2.1 La questione giuridica di cui è stata investita la Corte di Cassazione nella pronuncia in esame involge il tema della applicabilità e della estensione, anche al socio coobbligato non opponente e contumace, degli effetti favorevoli della sentenza di revoca di un decreto ingiuntivo resa a definizione di un giudizio di Appello instaurato dall’altro socio condebitore.

L’intervento operato dai giudici di legittimità nella vicenda che ci occupa, fornisce un importante chiarimento circa l’apparente contrasto tra la disciplina del giudicato e quella delle obbligazioni solidali con riferimento, in particolare, alla prescrizione.

Come si vedrà, il ragionamento dalla Suprema Corte prende le mosse dai principi di diritto espressi negli articoli 1310 e 1306 secondo comma del codice civile in tema di obbligazioni solidali e, calandoli nella fattispecie in esame, ne delinea i limiti di applicazione con riferimento alla preclusione pro iudicato che scaturisce dalla mancata opposizione a decreto ingiuntivo.

2.2 L’intervento della Suprema Corte e i precedenti orientamenti giurisprudenziali.

Al fine di comprendere la portata della pronuncia in esame, è necessario ripercorrere il ragionamento espresso dalla Corte di Appello di Torino. Invero, nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo aver accertato e dichiarato l’intervenuta prescrizione quinquennale del credito vantato dall’INPS ai sensi dell’art. 2948 n. 5 c.c., eccepita in primo grado e poi riformulata nel giudizio di Appello solo da parte di uno dei soci coobbligati intimati, ha ritenuto di dover estendere, in forza del disposto di cui all’art. 1310 c.c., gli effetti favorevoli della intervenuta prescrizione del credito (i.e. la revoca del decreto monitorio) anche a favore dei soci illimitatamente responsabili della società in nome collettivo, non opponenti e rimasti contumaci nei ridetti giudizi.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso di legittimità proposto dal creditore INPS, ha sviluppato la propria argomentazione come di seguito:

  1. anzitutto, le censure dell’INPS che si concentrano sulla estensione al socio coobbligato non opponente, rimasto contumace, della revoca del provvedimento monitorio, debbono essere lette alla luce del principio enunciato dalla Cassazione, Sez. III, 26 luglio 2016, n. 15376, secondo cui “l’accoglimento dell’opposizione avanzata da una società o da un altro socio non scalfisce l’autorità di giudicato sostanziale che il decreto ingiuntivo acquista nei confronti del socio che non abbia proposto una tempestiva opposizione” (nei medesimi termini, già Cassazione, Sez. III, 20 maggio 2003, n. 7881);
  2. in secondo luogo, secondo la Suprema Corte, il Giudice di Appello, nell’argomentare la propria decisione, ha compiuto una errata applicazione dell’art. 1310 c.c. La ratio della norma richiamata è chiara: “gli effetti delle vicende che riguardano uno dei più rapporti obbligatori dal lato debitorio o creditorio si estendono agli altri rapporti debitori o creditori solo se favorevoli”. Tuttavia, a ben vedere e per quanto preme evidenziare in questa sede, il legislatore con questa disposizione ha inteso perimetrare in maniera assai precisa il campo delle “vicende” che possono essere “estese” da un debitore all’altro condebitore. In altri termini, l’art. 1310 c.c. disciplina il profilo dell’efficacia degli atti interruttivi della prescrizione, della sospensione della prescrizione e della rinuncia alla stessa, ma non dispone nulla in punto di efficacia di giudicato;
  3. in terzo luogo, sulla estensione degli effetti favorevoli di una pronuncia che accerti e dichiari l’intervenuta prescrizione di un credito nei confronti di più debitori coobbligati, non può non tenersi conto del comportamento processuale dei singoli condebitori in solido. A tale riguardo, i giudici di legittimità precisano che ciascun socio di una società di persone ha l’onere di proporre opposizione contro il decreto monitorio proprio allo scopo di evitare che quest’ultimo diventi definitivo nei suoi confronti. E ciò in forza del principio dell’autonomia e della scindibilità dei singoli rapporti giuridici che caratterizzano le obbligazioni solidali (sul punto, cfr. Cassazione, Sez. II, 13 maggio 2008, n. 11867);
  4. in ultimo, secondo la Suprema Corte, non si potrebbe invocare – in senso contrario – neppure la disposizione di cui all’art. 1306, II co. c.c., in forza della quale “un debitore in solido può opporre al creditore la sentenza pronunciata tra quest’ultimo e un altro dei debitori in solido, salvo non sia fondata su ragioni personali al debitore”.

E ciò in quanto:

  1. non può essere il giudice ad estendere d’ufficio agli altri coobbligati, che non abbiano dichiarato di volersene avvalere, l’efficacia favorevole della sentenza pronunciata tra il creditore e un altro debitore in solido (cfr. Cass. Sez. I, 5 aprile 1996, n. 3201);
  2. l’estensione degli effetti favorevoli del giudicato avviene soltanto se la sentenza sia stata resa in un giudizio nel quale il debitore sia rimasto estraneo (cfr. Cass. Sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1779). Tale condizione non si è verificata nel caso in esame, poiché il socio non opponente, sebbene sia rimasto contumace, era parte del giudizio in quanto chiamato in causa dall’altro socio opponente, per l’esercizio dell’azione di regresso.
  3. della facoltà accordata dall’art. 1306, II. co. c.c. non si può giovare chi sia vincolato (come, nel caso di specie, è il socio non opponente) da un giudicato che si è formato direttamente nei suoi riguardi (cfr. Cass. Sez. II. 6 novembre 2015, n. 22696), e cioè il provvedimento monitorio.

Nel presente caso, infatti, la Suprema Corte ha fatto applicazione di un principio – già enunciato dalla Cassazione, Sez. III, sentenza n. 20559 del 30.09.2014, sentenze 29 gennaio 2007, n. 1779, e 14 luglio 2009, n. 16390, sentenza 9 aprile 2001, n. 5262 – secondo cui “la regola dell’art. 1306 c.c., comma 2, in base alla quale i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla. Se, invece, costoro hanno partecipato al medesimo giudizio – come si è verificato nel caso in esame – operano allora le preclusioni proprie del giudicato, con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma”.

3. Conclusioni

3.1 In conclusione, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha fornito una lettura molto rigida delle norme processuali in tema di opposizione a decreto ingiuntivo e delle norme sostanziali del codice civile, preferendo le esigenze di certezza del diritto, con ciò determinandosi la circostanza che il socio illimitatamente responsabile non opponente non potrà opporre al creditore la sentenza favorevole resa in favore del socio coobbligato, che si sia attivato, trovando in tal caso l’estensione degli effetti favorevoli del giudicato un ostacolo nella preclusione maturatasi con l’avvenuta definitività della sua posizione.

 

Avv. Francesca Bertozzi

Associate

MFLaw Roma

 

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